Unity vol. 1: Uccidere un re, la recensione
Unity vol. 1: Uccidere un re insieme a X-O Manowar vol. 5 e Harbinger vol. 4, rappresenta il ritorno in grande stile sui nostri scaffali del Valiant Universe
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Unity vol. 1: Uccidere un re, albo che abbiamo avuto la possibilità di recensire in anteprima per voi, raccoglie i primi quattro numeri della serie originale edita negli States da Valiant Comics e, insieme a X-O Manowar vol. 5: In Guerra con Unity e Harbinger vol. 4: Perfect Day, rappresenta il ritorno in grande stile sui nostri scaffali dell'Universo Valiant.
La nuova scommessa nata a Bosco di Perugia, va salutata con un plauso, perché offre al nostro pubblico la possibilità di leggere storie di qualità sopra la media del filone mainstream, sia per testi che disegni. Lo dimostrano i nomi degli autori coinvolti. Per la squadra speciale creata da Toyo Harada, che possiamo ammirare in Uccidere un re, la sceneggiatura è affidata a Matt Kindt e i disegni a Doug Braithwaite.
Dopo un primo tentativo fallito tragicamente, Harada, il più potente psiota (un corrispettivo del telepate nel cosmo della Casa delle Idee, per intenderci), in circolazione, torna all'attacco. Ha una squadra costituita da elementi formidabili: Gilad Anni-Padda, l’Eterno Guerriero, l’assassino mercenario Ninjak e Amanda Mckee, alias Livewire, abile combattente in grado di interfacciarsi con ogni dispositivo tecnologico. Ci sono in gioco la vita di milioni di persone e interessi che vanno oltre le conoscenze dei tre protagonisti. Le sorti del drammatico scontro, sono tutt'altro che prevedibili ed è molto sottile il confine tra il bene e il male. Durante lo sviluppo degli intrecci di questo primo arco narrativo, Kindt si diverte a farci rimettere in discussione le posizioni prese e il giudizio su alcuni dei personaggi principali, fino all'epilogo e al colpo di scena conclusivo. Aggiunge inoltre al ritmo e all’azione della trama la giusta dose di spionaggio, realizzando un fumetto ben strutturato ed estremamente avvincente.
Peculiare è la sua bravura nel delineare in poche tavole già in modo inconfondibile gli attori in scena. Su di essi emergono Aric e Gilad, che vengono efficacemente caratterizzati come guerrieri, nel senso epico del termine, con un irrinunciabile codice morale e diventano eroi solo applicandolo, come moderni cavalieri medioevali. Le loro radici così profonde nel passato della nostra Storia, nelle fortune e nelle sventure della nostra specie, trasmettono un’attrazione tutta propria che li colloca in una dimensione ben distinta dai supereroi Marvel e DC. Rispetto a questi ultimi sono soggetti più complessi da rendere fruibili, non solo perché meno noti ma anche meno riconducibili a un simbolo, a un costume. La loro forza è più letteraria che estetica ma ha bisogno di entrambi gli elementi per produrre qualcosa di credibile, che funzioni. Così entrano in gioco il tratto di Braithwaite e i colori di Brian Reber, che ne realizzano un design accattivante, che rispecchia la forte personalità voluta dal collega scrittore e che si fa esuberante in Amanda. Esemplare poi, la facilità con cui l'artista britannico si trova a proprio agio nelle scene di lotta e combattimento.