Unfrosted: storia di uno snack americano, la recensione

Lo spot più lungo del mondo senza neanche il carisma di Barbie: Unfrosted è puro marketing, e non del più interessante

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La recensione di Unfrosted, il film diretto da Jerry Seinfeld in arrivo su Netflix il 3 maggio.

Unfrosted è come quello zio razzista che fa battute inopportune ai matrimoni e poi si offende che “con questi giovani non si può più ridere di niente”. Per l’esattezza, è come se quello zio razzista venisse messo a capo del reparto marketing di una mega-multinazionale. Nel caso a qualcuno fosse sfuggito, di recente il colosso dei cereali Kellogg’s si è spaccato in due. La neo-battezzata Kellanova, che detiene parte dei prodotti classici del marchio, ha evidentemente ritenuto opportuno un rebranding in forma di film. Entra in scena Jerry Seinfeld (anche esordiente alla regia) che in un flashback di un’ora e quaranta racconta a un incauto bambino la magica storia della nascita delle Pop-Tarts.

Il progetto Unfrosted dev’essere iniziato più o meno con queste parole: “come Barbie”. Il miracolo compiuto da Mattel col film di Greta Gerwig (ma anche il recente Air) provano che il terreno è maturo per alcune delle più spudorate operazioni pubblicitarie di sempre. Barbie in particolare dà ad Unfrosted un’idea di marketing diabolica: piuttosto che nascondersi è meglio che i brand si presentino in scena come personaggi, sottoponendosi volontariamente a un’autoparodia che ne evoca sì le criticità, ma in modo bonario e ridicolo, disinnescando il rischio di obiezioni che risultano già previste e superate da una metanarrazione ammiccante e consapevole.

Se Mattel brandiva il femminismo pop caro alla sinistra americana come scudo universale contro tutto - dall’evasione fiscale della fondatrice all’ambivalenza della bambola come icona di bellezza iperbolica e all-whiteUnfrosted compie un’operazione per certi versi opposta: usare un umorismo (relativamente) più sboccato e politicamente scorretto, tipico della generazione di Seinfeld, per acchiappare il pubblico più conservatore delle famiglie che è il target naturale dei prodotti Kellogg’s/Kellanova. Così accanto al comico fanno capolino figure care alla destra o comunque note per la loro insofferenza al clima politically correct della Hollywood contemporanea, da Bill Burr a Jon Hamm che fa la parodia di Mad Men.

Seinfeld & Co scavano nella storia americana in modo a tratti raggelante, come quando viene messa in scena la collusione fra grandi corporation e traffico di droga in Sudamerica. E hanno anche la faccia tosta di rievocare la corsa agli armamenti con l’Unione Sovietica, cosa che gli permette uno stuolo di citazioni all’altro mega-successo dell’anno scorso, Oppenheimer di Christopher Nolan (“abbiamo scisso l’atomo della colazione!”). Siccome però la modalità zio razzista autoconsapevole è sempre attiva, tutto ha il sapore di uno scherzo terribile che non va preso sul serio. I capitalisti sono cattivi ma alla Wonka, cioè cartoni animati, mica vorremo arrabbiarci? Si criticano da soli! Almeno una volta gli spot duravano un minuto.

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