Undone: la recensione
Undone fonde la fantascienza migliore e il dramma famigliare: un piccolo gioiello in rotoscoping dal creatore di BoJack Horseman.
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Protagonista è Alma (Rosa Salazar), una giovane che rimane vittima di un incidente stradale. Si risveglia in un letto d'ospedale, circondata dalle persone che la amano, l'apprensiva madre Camila (Constance Marie), la sorella Becca (Angelique Cabral) in procinto di sposarsi, il fidanzato Sam (Siddarth Dhananjay). Ma c'è anche il padre di Alma, Jacob (Bob Odenkirk), morto in un incidente stradale molti anni prima. Da una dimensione astrale non meglio identificabile e per canali che rimangono misteriosi, l'uomo parla ad Alma, e le chiede di scoprire la verità dietro la propria morte, che a suo parere non è stata un incidente. Per fare ciò, Alma deve imparare a padroneggiare le sue nuove facoltà, che le permetterebbero di viaggiare nel tempo e manipolarlo.
Il sottile filo rosso che lega letteratura dickiana, filosofia esistenziale, fantascienza al cinema e animazione in rotoscope emerge per suggestioni semplici, ma logiche. Il punto d'incontro è il cinema di Richard Linklater, quello delle incursioni nell'animazione di Waking Life e A Scanner Darkly. Quel dittico cinematografico in rotoscoping abbracciava un flusso di pensiero delimitato, soprattutto nel secondo caso, dalle suggestioni di Philip K. Dick, l'autore della non-esistenza del tempo. Undone torna a quei temi, quelle fascinazioni, quelle necessità narrative. Suggerisce una visione universale contaminata dal misticismo, parla di potenzialità della mente e di figure in grado di squarciare il velo della realtà.
Alma potrebbe essere davvero un classico protagonista dickiano, ambivalente e irrisolto nel voler cedere al fascino della scoperta, temendone però le conseguenze. E c'è un conflitto fortissimo che corre lungo tutte le otto puntate, un dubbio straziante nella sua irrisolvibilità: e se tutto ciò fosse solo autosuggestione? Questo è davvero il cuore della filosofia dickiana, così ricorrente in Valis, Palmer Eldritch, Ubik. Quello dell'uomo, o della donna in questo caso, intimamente spezzato e mentalmente fragile, forse incapace di vivere nel mondo, che potrebbe essersi costruito la propria fantasia delirante e complottista per dare un senso alla realtà.
Il personaggio di Rosa Salazar (ancora una volta celata dietro un avatar animato, come in Alita) incarna queste caratteristiche. Ha una storia di malattie mentali nella propria famiglia, nasconde dietro sfrontatezza e volgarità la paura di aprirsi del tutto con le persone, rifiuta le pillole che le sono state prescritte. Guarda caso il conflitto che si troverebbe a risolvere – la morte del padre – è proprio alla base delle sue incertezze nella vita. La scrittura le consegna un oggetto feticcio, un banale videogioco, che potrebbe essere assimilato al totem di Inception, un'ancora alla realtà, ma che qui ha un utilizzo più emozionale che fantascientifico.
Preso per buono questo presupposto, la stessa natura fantascientifica di Undone può essere messa in discussione. In realtà tutta la sua premessa. La vicenda promette una svolta grandiosa, apre scenari da action thriller, ma è solo una scusa. La vera storia della serie è inquadrata tra due parentesi uguali e opposte, i due incidenti stradali di cui abbiamo parlato riassumendo la trama, che abbracciano nel flusso del tempo l'origine e la fine di tutto, in un processo autogenerante e ciclico. Il dramma è qui, è la storia di Alma e della sua famiglia.
E la serie ce la racconta con dedizione e cura. Il rotoscoping, macchina visiva perfetta per sostenere quel senso di uncanny valley che accompagna lo straniamento dello spettatore, inquadra le espressioni di questi personaggi veri e tangibili. Che non avrebbero nulla da invidiare al più puro dramma familiare. C'è ricchezza e profondità in ognuno di questi caratteri, nel triangolo di repulsione e attrazione che lega Alma, Becca e Camila, così come nel rapporto sentimentale con il compassato Sam. Momenti teneri, intimi, umani, che fanno da contraltare alla frenesia dell'animazione e al puro gioco dell'immagine. Un maelstrom di animazione tridimensionale e bidimensionale, pittura a olio e, ovviamente, live action. Mai soverchiante o eccessivo, sempre fluido e al servizio dell'intreccio.