Underworld - Il risveglio, la recensione

Arrivati al quarto capitolo si potrebbe pensare ad un fisiologico calo o una certa stanchezza, invece quest'ultimo Underworld è uno dei migliori in assoluto...

Critico e giornalista cinematografico


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Parecchie attrici rimangono legate a personaggi virili e saghe d'azione spinta, poche riescono a lasciare il segno e darsi davvero alla causa. Kate Beckinsale appartiene a quest'ultima categoria (di cui Sigourney Weaver è la regina e Milla Jovovich la grande erede).

La saga di Underworld l'ha persa per un capitolo, il terzo, che agendo da prequel ha fatto ordine nell'intricata trama narrando dietro le quinte, motivazioni e svolgimenti di alcuni momenti nell'origine del conflitto tra Vampiri e Lycann, e ora la ritrova, quarantenne, inguainata nel latex nero nel capitolo più secco e asciutto. E dà il suo meglio. Il successo e la forza di questa saga ha di certo molto a che vedere con l'incrocio della tematica e della tempistica (unire, in questi anni, lupi mannari e vampiri ha del geniale), ma senza Kate Beckinsale e con lei il grande Michael Sheen a dare credibilità e vera epica, Underworld sarebbe rimasta serie B.

In questo quarto film si torna al presente per pochi minuti e poi si fa un salto di 12 anni in un futuro in cui tutto è alla luce del sole (si fa per dire), la guerra tra le creature ancestrali è fatto noto anche dalla popolazione di città.

Con una fusione imprevedibile e davvero funzionale con l'estetica, la color correction e un certo mood visti in Daybreakers, stavolta i vampiri sono la parte proba del conflitto e i lycan smettono di essere la metafora della ribellione del proletariato (idea che aveva raggiunto la massima vetta espressiva nel terzo film). Adesso l'aristocrazia succhiasangue non è più tale, non ha il potere, vive nelle fogne mentre i lupi si sono abilmente mescolati con la razza umana. Insomma i licantropi hanno messo su un'azienda, si sono fatti degli amici, si sono messi una cravatta e mangiano con le posate. Ora hanno dipendenti (licantropi), uffici, laboratori e provette.

La guerra diventa chimico/farmacologica e alle motivazioni personali che già spingevano Selen se ne aggiunge una nuova. Come tutte le eroine virili (da Ripley di Alien in poi) di mezzo c'è un figlio non cercato.

Il principale artefice della saga cinematografica, Len Wiseman, rimane un passo indietro alla sola sceneggiatura e vengono promossi registi Måns Mårlind e Björn Stein, duo svedese presentatosi ad Hollywood con il risibile Shelter.

E' dunque una grande sorpresa che Underworld: il risveglio sia uno dei film più compatti della saga. Pur mancando di componenti strutturali determinanti (non c'è Michael Sheen, la trama non ha il grande respiro dell'epica millenaria, del sentimentalismo ottocentesco, nè il fascino delle maledizioni antiche) è innegabile come, arrivati al quarto film, la produzione sia riuscita a trovare il modo di continuare una narrazione con un senso, una logica e un certo afflato. In tutto ciò si inserisce il duo svedese che dirige con passo svelto, senza velleità e con grande coscienza di quale sia l'obiettivo della saga. Non certo il cinema di soli botti e spari (ma anche!) quanto un'idea di avventura e azione molto moderna (tutto passaggi dal ralenti alle accelerazioni) che recuperi quanto deve delle atmosfere gotiche. In più non guasta un 3D vero, ripeto: vero! Non solo nativo (cioè girato e non postprodotto) ma anche pensato che vale anche di più. Un vero gioiellino tecnico.

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