Underworld: Blood Wars, la recensione
La poetica di notte, pistole, sangue e ibridazioni non raggiunge la sua vetta in Underworld: Blood Wars ma la saga è ormai superiore ai singoli episodi
Nato come un universo fantasy/metallaro, in cui lupi mannari e vampiri si combattono da millenni, evoluto in qualcosa di più complesso come una lotta tra diversi casati in un futuro in cui sia i primi che i secondi sanno di essere non creature naturali ma frutto di mutazioni genetiche a partire da un virus, ora tutto sembra centrato sul sangue, come dice il didascalico titolo. Il sangue dei casati, degli anziani e dei rapporti madre figlio, il sangue dei vampiri che non è solo fonte di vita ma in questa saga anche portatore di memorie e infine il sangue come oggetto del contendere. Tutti vogliono il sangue di qualcuno per i propri esperimenti. E alla fine, anche stavolta, il racconto non si esaurisce con questo film.
Film come quelli della serie Underworld puntano tutto sul loro look, sulla fotografia che sembra un perenne effetto notteSelene è un personaggio complicatissimo, di poche parole ma tantissime svolte, qui ancora una volta subirà una mutazione e finalmente godrà della prima grande battuta in 14 anni di saga, una sentenza sussurrata in voce fuoricampo, così potente (considerato anche il percorso del personaggio) da suonare solenne come i proclami di Conan Il Barbaro:
Ho vissuto mille anni e potrei vivere per altri mille, oppure morire domani. Ma non ho più paura della morte perché già l’ho conosciuta. Sono rinata, i miei occhi sono stati aperti al mondo sacro e la promessa di quel che deve ancora essere. Non c’è inizio, non c’è fine, c’è solo il divenire.
Film come quelli della serie Underworld puntano tutto sul loro look, sulla fotografia che sembra un perenne effetto notte, sulla mancanza di luce, il pallore, i cappottoni, l’arredamento kitsch tra pietre da castello britannico e mobilio da settecento francese. È un miscuglio spesso dissonante ma fortemente caratterizzante nel quale è complicato per gli attori inserirsi senza stonare. Non ci riesce mai Theo James, mentre un veterano dei ruoli potenti e austeri come Charles Dance sembra nato lì dentro. Non è da tutti. Ma in quei (a dire il vero rari) momenti in cui Underworld centra tutto, è uno dei racconti di pace attraverso la mescolanza e l’ibridazione contemporaneamente più popolari, confusi e diretti che ci siano.
Può non piacere, specie quest’ultimo film così pacchiano nelle molte scene d’azione e così farraginoso nel racconto, ma si è guadagnato un indubbio rispetto.