Uncharted, la recensione

La prima versione per il cinema di Uncharted cambia genere e cerca di trovare così una personalità che non è mai convincente

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Uncharted, il film di Ruben Fleischer al cinema dal 17 febbraio

Sei un bravo ragazzo Nate, troppo bravo”. Nessuno probabilmente si sognerebbe di dirlo a Nathan Drake in un videogioco della serie Uncharted, invece ha perfettamente senso in Uncharted (il film), perché qui Nathan Drake è Tom Holland, che porta con sé il personaggio che va affinando fin dal primo Spider-Man, l’eroe d’avventura accessibile che fa i suoi stunt da sé (quasi tutti almeno). Il Nathan Drake rivisto per il possibile franchise di Uncharted, non è più il ladro duro ma una figura vicina alle note di action comedy che il film vuole avere, qualcuno di non troppo distante ma a cui è facile relazionarsi. E così di tutta risposta anche Victor diventa il suo mentore (interpretato da Mark Wahlberg che invece, come tipo di eroe, sarebbe più vicino al Nathan Drake originale) e non più il suo socio, per instaurare con lui battibecchi e gag quando non stanno scappando, sparando o distruggendo cose.

Più Il Codice Da Vinci che davvero Uncharted, questa prima versione per il cinema di Dan Brown ha la passione per l’esagerazione con la modernizzazione di antiche mitologie e per le sette segrete che cospirano, e gli manca invece quel piede tenuto un po’ anche nel regno della vaga plausibilità che aveva Indiana Jones (fonte d’ispirazione evidente per i videogiochi). Dettagli per maniaci di fronte al fatto che Uncharted (il film) è scritto veramente male, fa succedere gli avvenimenti solo perché convengono, senza che appaiano come frutto di una naturale catena degli eventi e spesso cerca di far ridere senza riuscirci.
Del resto in questi casi o puoi vantare personaggi carismatici e memorabili nel tuo film, oppure non puoi davvero sbagliare niente della parte di avventura, cioè devi essere sia classico che inventivo. Uncharted non ha né personaggi davvero carismatici e memorabili (ma anzi copie di altri personaggi già visti), né è un’avventura impeccabile.

Uncharted

La storia di Nathan Drake reclutato da Victor per recuperare l’oro di Magellano sembra presa dal terzo gioco della saga ed è scritta incorporando elementi, snodi e dettagli da tutti i videogiochi (su tutti l’incipit che è una scena del terzo, ma messa all’inizio per poi tornare indietro come avviene nella memorabile apertura del secondo), riuscendo a presentare anche Chloe Frazer. Eppure non trova in nessun momento il feeling profondo e il grande fascino del viaggio e della scoperta, il brivido del rapporto con un’antichità mai sopita e la posta in gioco alta su sentimenti semplici. Non è questione di tradimento dell’originale, personaggi e contesto si possono cambiare se calzano meglio un film e questo anche se poi Tom Holland porta con sé il personaggio del ragazzo che si caccia in guai per i quali non è adeguato, mentre Nathan sarebbe un vero bastardo, sempre all’altezza dei guai che crea. Il problema è la difficoltà di Uncharted a fare avventura.

Si poteva accettare tutto, i cambi, le scene prese dai videogiochi (ma fatte peggio) come anche il restringimento di storie e campo di gioco per la durata di un film, ma non si può accettare la mancanza di capacità di immaginare. E ce ne si accorge alla fine, quando per un momento Ruben Fleischer riesce a tener fede al titolo del suo film, creando qualcosa di nuovo invece di imitare gli originali. La grande sequenza d’azione finale è concepita, eseguita e proprio immaginata a dovere, lì tutto (anche la colonna sonora) gira per il verso giusto e si capisce quale fosse l’idea dietro questo nuovo Nathan Drake e come avrebbe potuto funzionare se solo avesse avuto al timone qualcosa di più del regista di Venom e Zombieland.

Trovate tutte le informazioni sul film nella nostra scheda!

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