Unbreakable Kimmy Schmidt (quarta stagione, prima parte): la recensione

Le nostre impressioni sulla quarta stagione di Unbreakable Kimmy Schmidt

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Spoiler Alert
Difficile dire qualcosa di nuovo su questi episodi di Unbreakable Kimmy Schmidt. Questa non è una serie che si rinnova, o ha necessità di farlo. Al limite spinge un po' di più sul pedale della follia, ma anche da quel punto di vista siamo ai soliti livelli. Mettiamoci pure che questi solo solo sei episodi, e sono la prima parte della quarta e ultima stagione dello show di Netflix, e il gioco è fatto. Per quel che vale esprimere un'idea compiuta su appena sei episodi di una comedy che non corrispondono nemmeno a una stagione intera, possiamo dire che Unbreakable Kimmy Schmidt è divertente e piacevole come al solito. Non sorprende, non delude, e se avete riso con le precedenti puntate sapete cosa aspettarvi.

Quel che si può dire è che la comedy di Netflix, forse lo show più puro di questo genere disponibile tra i contenuti originali della piattaforma, è un prodotto dei nostri tempi. Si sprecano i riferimenti all'attualità contenuti in questi sei brevi episodi che vedono ancora una volta Kimmy, Titus, Jackie e gli altri alle prese con un mondo matto esattamente quanto loro. Si parla, e davvero non potrebbe essere altrimenti, di molestie sessuali, di femminismo, di parità di genere. Kimmy, che da parte sua ha un passato di tremendi abusi come le sue compagne rinchiuse nel bunker, non può far altro che appassionarsi al tema, farlo proprio, e ovviamente reinterpretarlo a modo suo.

Non c'è nulla di nuovo da dire sui personaggi, o sullo stile della serie, sempre molto autoconsapevole e sempre più pronta a utilizzare inside joke. C'è la piattaforma che è chiaramente una parodia di Netflix, c'è un tema iniziale che fa "little girl, big city, this is the show now", e c'è anche un episodio speciale interamente girato nello stile del classico documentario di Netflix. Questo è l'episodio più particolare tra i sei, per quanto già debitore della parodia realizzata con American Vandal proprio su Netflix. Rivediamo Jon Hamm nei panni del reverendo Wayne, come al solito personaggio insopportabile e disgustoso, anche se stavolta si ride molto quando la serie ripesca un vero spezzone di uno show di appuntamenti degli anni '90 al quale Jon Hamm aveva veramente partecipato.

Titus come al solito ruba la scena. È uno spasso nel suo essere informatissimo su certe cose e completamente ignorante su altre (Harry Potter), e la puntata in cui deve creare dal nulla uno spettacolo teatrale con dei ragazzini è la più divertente delle sei. C'è anche un vago accenno di trama orizzontale con qualcuno pagato per fare del male a Kimmy, almeno immaginiamo, ma è poca roba e comunque nemmeno la serie stessa è troppo interessata alla cosa. Rimane da sottolineare il montaggio finale, che riprende il tema di inizio stagione, e chiude questa parentesi ideale. Considerato che la seconda metà di stagione arriverà nel 2019, la formula (utilizzata in questi giorni anche con Arrested Development) è da bocciare. Sei episodi così, da appena mezz'ora, sono pochi per un prodotto di questo genere.

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