Una vita in fuga - Flag Day, la recensione | Cannes 74
L'America, la famiglia, i sogni e le speranze ma anche troppi videoclipponi e un calo di ritmo imperdonabile condannano Flag Day
I grandi sentimenti esposti con scene clamorose al tramonto, perché tutti li possano vedere, i pianti sommessi e non, e le confessioni insperate mormorate sul portico di notte. In Flag Day c’è tutto il campionario delle scene madri utili a mettere in luce la recitazione e raccontare una storia più tramite gli attori che tramite la sceneggiatura o qualsiasi altro elemento della messa in scena. Sean Penn, che era stato così bravo a lavorare di paesaggi e luoghi sia in La promessa che (ovviamente) in Into The Wild, di nuovo crolla, stavolta con una storia molto semplice, molto lineare e molto americana.
Tuttavia è sempre il padre il personaggio che il film si impegna a farci conoscere, è lui quello con l’arco narrativo interessante, quello che vuole cambiare, nonché quello al centro del climax finale. Insomma nonostante potrebbe sembrare il contrario è lui il vero protagonista. Dylan Penn (figlia di Sean e Robin Wright) è marginale.
E se su questo si potrebbe anche passare sopra, più difficile è farlo sul fortissimo desiderio di Flag Day di essere un film come altri e la maniera vanitosa di arrivarci. Difficile sopportare il ricorso frequente a videoclipponi con musica, tramonti, scenari e personaggi che danzano al suono della propria musica interiore (sono i momenti da cui dovremmo capire i sentimenti di ognuno), oppure sopra a Dylan Penn (30 anni) scarsamente credibile come adolescente e più che altro mascherata da cosplayer di un’adolescente. Senza contare infine che da quando il film entra nel suo terzo atto rallenta clamorosamente, affidandosi di continuo a dissolvenze e attese sfiancanti.
Non siamo certo dalle parti dell’allucinante Il tuo ultimo sguardo, ma Flag Day lo stesso è un film spento, uno che, una volta tanto, una storia interessante da raccontare l’aveva ma che non è capace di vedere in essa ciò che avrebbe potuto renderla grande.