Una vita cinese vol. 2: Il tempo del Partito, la recensione
Abbiamo recensito per voi il secondo volume di Una vita cinese, opera di Li Kunwu e Philippe Ôtié
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Prosegue il racconto da parte di Kunwu, alias Xiao Li, della propria vicenda che interseca indissolubilmente quella del proprio Paese. Il tempo del padre, l'era di Mao Zedong (Mao Tse-Tung), si era concluso con la morte del rivoluzionario nel 1976. La Cina è in lutto, sconvolta e disorientata dalla dipartita del Grande Timoniere. La famiglia del protagonista rispecchia questa condizione, sparpagliata e divisa, ma tutto sta per cambiare.
Dopo un succinto riepilogo della situazione esposta nel precedente tomo, la narrazione prende il via con un evento inaspettato, fantastico quanto sconvolgente: la cosiddetta ”Banda dei Quattro”, composta da Zhang Chunqiao, Wang Hongwen, Yao Wenyuan e Jiang Qing (la moglie di Mao) è stata arrestata. Vengono additati di tutte le violenze fisiche e psicologiche conseguenti alla sanguinaria rivoluzione culturale, voluta in realtà da Mao per riprendere in mano il comando effettivo. L'immagine del padre della patria deve essere preservata, ma la nazione passa di fatto in mano ai suoi oppositori riformisti, tra i quali si distingue il futuro leader Deng Xiaoping.
Si torna ad apprezzare il cibo e gli svaghi anche per i giovani soldati dell'esercito popolare di liberazione, di cui fa parte lo steso Xiao. Il suo pensiero fisso, tuttavia, è entrare nel Partito Comunista; è il desiderio più grande per rispettare e rendere fiero suo padre - che ci crede ciecamente - ed è anche l'unico cruccio del ragazzo, perché il suo più che apprezzabile curriculum è macchiato dagli antenati, proprietari terrieri e quindi “sporchi neri”, simbolo del Feudalesimo nemico della Rivoluzione.
Per lavare quest'onta e dimostrare la propria abnegazione, entra in un'unità di produzione, una minuscola azienda agricola gestita da un singolo militare, lì relegato in condizioni estreme di sussistenza. Disperso in una campagna lontana e avara di distrazioni, il Nostro incontra inaspettatamente l'amore nella dolce Wu Bailan, la figlia del dottore del vicino villaggio. Quel luogo, da tormento si trasforma in idillio, seppur breve. Xiao è una bravo disegnatore e viene richiamato alla civiltà dai suoi superiori: deve prestare il proprio talento alla propaganda della fazione riformista guidata da Xiaoping per assicurare un domani glorioso alla Cina. Sono tavole particolarmente struggenti quelle in oggetto, dove viene sottolineata con forza la distanza tra le condizioni fortunate dei gerarchi di partito e quelle miserabili della popolazione.
L'ultimo capitolo del libro riflette e amplifica quella commistione di gioia e dolore che lo attraversa dall'inizio. La Cina si apre al mondo e allo straniero. Conformemente alle previsioni di Xiaoping, entro la fine del XX Secolo siederà tra le super potenze economiche della Terra, garantendo ai propri cittadini quel benessere finora esclusiva del sistema capitalistico. Questa è agli occhi di tutti la vera rivoluzione, carica di fermento e curiosità generale. Xiao, d'altronde, è stato finalmente accettato tra le fila del partito e frequenta una compagna di università della sorella minore. Fengfeng sembra la donna giusta, con i suoi stessi ideali rivoluzionari: un quadro perfetto; a infrangerlo, come una sassata su un vetro, sopraggiunge la morte del padre, descritta in maniera toccante e incisiva.
Il secondo atto di Una vita cinese si chiude come il precedente, con la perdita del riferimento politico e spirituale del suo autore. In fondo, è il suo amato familiare ad aver sempre rappresentato il suo maestro e il suo modello. È la rivelazione che per poter credere in qualcosa è necessario che quel qualcosa sia incarnato in una persona.