Una vita cinese vol. 1: Il tempo del padre, la recensione

Il tempo del padre è il primo dei tre volumi di Una vita cinese, autobiografia di Li Kunwu: un'opera universale e imperdibile

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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Il 1° ottobre 1949 viene proclamata a Pechino la Repubblica Popolare Cinese, che vede la salita al potere del Partito Comunista e della sua guida: Mao Zedong (Mao Tse-tung). Sei anni dopo nasce nella provincia dello Yunnan - situata nell'estremo sud del Paese - Li Kunwu, futuro disegnatore e scrittore - insieme al francese Philippe Ôtié che ne ha curato la sceneggiatura - di Una vita cinese, un'autobiografia.

Il tempo del padre è il primo di tre atti, in cui Kunwu racconta la propria gioventù dalla nascita e ancora prima, a partire dall'incontro tra i suoi genitori: il venticinquenne Segretario Li, orgoglioso quadro comunista, e la giovane madre di soli diciassette anni, Xiao Tao. Il volume è suddiviso a sua volta in tre capitoli: Rosso Puro, che scandisce la fanciullezza, Il libretto rosso, incentrato sull'adolescenza, e Armata Rossa, che affronta la maturità concludendosi con la morte del dittatore (a cui fa evidentemente riferimento il titolo), avvenuta nel 1976.

In Rosso Puro vengono descritti gli anni trascorsi dall'autore nella città di Kunming insieme alla propria famiglia, a cui si aggiunge la sorellina MeiMei. Sono tempi difficili, ognuno è chiamato a fare sacrifici e a dare il proprio contributo alla causa. Alle elementari è anche tempo della prima cotta: la piccola XiaoQun, a cui il protagonista resterà legato a lungo. Il cibo scarseggia e la situazione peggiora con il cosiddetto “grande balzo in avanti” del '58, il passaggio diretto dalla democrazia popolare all'organizzazione comunista. È un salto economico titanico che vuole trasformare uno Stato essenzialmente rurale in una potenza industrializzata che possa competere e poi superare Inghilterra e Stati Uniti. La concomitanza con una tremenda carestia costa alla popolazione milioni di vittime. La fiducia nel leader, nel “Grande Timoniere” è tuttavia incrollabile: l'indottrinamento delle masse è incalzante, i bambini - più ricettivi - vengono catechizzati tra le mura domestiche e quelle scolastiche. Dall'alto viene propagandato il mito del soldato Lei Feng, a cui ispirarsi come esempio delle migliori virtù patriottiche e socialiste.

Ne Il libretto rosso si allude alle Citazioni del presidente Mao, con il quale nel 1966 viene lanciata la “rivoluzione culturale”. È in realtà una campagna di violenza ideologica e fisica condotta da centinaia di migliaia di “guardie rosse” che gettano la nazione nello scompiglio portandola sull'orlo della guerra civile. Si tratta di una vera e propria caccia alle streghe: basta segnalare che il vicino di casa abbia comportamenti sconvenienti o non in linea con il partito per metterlo in guai seri. Si rigetta tutto ciò che può ipoteticamente essere legato ai “tre veleni” più pericolosi: feudalesimo, capitalismo e revisionismo. Con tale giustificazione viene dato alle fiamme un pezzo dell'immenso patrimonio artistico - culturale della Cina e vengono recise le radici con il proprio passato, la tradizione.

I giovani, tra cui lo stesso protagonista, sono i più accesi e ferventi fautori di questa epurazione dei costumi. Sono mossi da un entusiasmo privo di qualunque seria analisi, affidato alle massime del loro presidente, accolte come precetti universalmente validi e da imparare a memoria. Chi dimostra un certo scetticismo e un'autonomia di pensiero, come il padre di Kunwu, viene arrestato e rinchiuso in un “campo di rieducazione”. Nel frattempo il ragazzo affina e coltiva il proprio amore per il disegno, prima personalizzando i famigerati dazibao (volantini e poster scritti a mano dal popolo, affissi in bacheche pubbliche e utilizzati per denunciare i nemici della rivoluzione) poi a bottega da un pittore esperto - tra le altre cose - di ritratti di Mao. Come se non bastassero le deportazioni, la “rivoluzione culturale” miete per due anni consecutivi altre migliaia di vite, e per frenare gli eccessi delle guardie rosse e ristabilire l'ordine deve intervenire addirittura l'esercito.

Nell'ultima parte, Armata Rossa, è proprio verso questa che Kunwu si rivolge, aderendo volontariamente alla leva, mentre MeiMei viene spedita nei campi “per imparare dai contadini poveri”. Durante il militare si interrompe ogni rapporto con XiaoQun; la ragazza aveva aperto gli occhi molto prima di lui sulla realtà che li circondava. Nelle pagine finali assistiamo al dissolversi dei sogni di grandezza, del senso di sicurezza di intere generazioni all'annuncio della dipartita del “Grande Timoniere”, che getta nello scompiglio un intero popolo ammaliato per un ventennio dalla sua figura.

Tra i tanti riconoscimenti che Una vita cinese si è aggiudicata, c'è il Dragone d'Oro del Gran Premio del Fumetto Cinese; l'attuale regime illuminato di Xi Jinping (come ricorda Pierre Haski nell'attenta prefazione della graphic novel), rappresentate della quinta dinastia di governanti comunisti del Paese, ha infatti preso le giuste distanze dal maoismo. L'opera di Kunwu contribuisce a infrangere quell'illusione attraverso un saggio di realismo e disincanto avvolto da un velo di ironia e da tanta amarezza. La denuncia del maoismo e la presa di coscienza da parte dell'autore è netta, lontana dalla totale devozione di quegli anni, narrata attraverso i suoi occhi di fanciullo e poi di ragazzo.

Non è semplice far emergere il coinvolgimento che questo punto d'incontro tra manhua e bande dessinée - pubblicato in Francia da Kana (gruppo Dargaud) e portato con merito in Italia da add Editore - è in grado di trasmettere. Il valore di un classico è quello di essere sempre contemporaneo perché capace di esprimere, attraverso uno specifico soggetto, condizioni ed emozioni universali. Il tempo del padre, con il suo tratto assolutamente personale, potente e caricaturale, ci riesce alla perfezione. Nella tragedia e nella follia collettiva della Cina maoista capiamo quanto sia facile per l'uomo - e lo viviamo oggi più che mai - rinnegare se stesso, abbandonarsi a un idolo e alienarsi da ciò che ha di più prezioso e distintivo: cuore e intelletto.

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