Una vita cinese vol. 1: Il tempo del padre, la recensione
Il tempo del padre è il primo dei tre volumi di Una vita cinese, autobiografia di Li Kunwu: un'opera universale e imperdibile
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Il tempo del padre è il primo di tre atti, in cui Kunwu racconta la propria gioventù dalla nascita e ancora prima, a partire dall'incontro tra i suoi genitori: il venticinquenne Segretario Li, orgoglioso quadro comunista, e la giovane madre di soli diciassette anni, Xiao Tao. Il volume è suddiviso a sua volta in tre capitoli: Rosso Puro, che scandisce la fanciullezza, Il libretto rosso, incentrato sull'adolescenza, e Armata Rossa, che affronta la maturità concludendosi con la morte del dittatore (a cui fa evidentemente riferimento il titolo), avvenuta nel 1976.
Ne Il libretto rosso si allude alle Citazioni del presidente Mao, con il quale nel 1966 viene lanciata la “rivoluzione culturale”. È in realtà una campagna di violenza ideologica e fisica condotta da centinaia di migliaia di “guardie rosse” che gettano la nazione nello scompiglio portandola sull'orlo della guerra civile. Si tratta di una vera e propria caccia alle streghe: basta segnalare che il vicino di casa abbia comportamenti sconvenienti o non in linea con il partito per metterlo in guai seri. Si rigetta tutto ciò che può ipoteticamente essere legato ai “tre veleni” più pericolosi: feudalesimo, capitalismo e revisionismo. Con tale giustificazione viene dato alle fiamme un pezzo dell'immenso patrimonio artistico - culturale della Cina e vengono recise le radici con il proprio passato, la tradizione.
Nell'ultima parte, Armata Rossa, è proprio verso questa che Kunwu si rivolge, aderendo volontariamente alla leva, mentre MeiMei viene spedita nei campi “per imparare dai contadini poveri”. Durante il militare si interrompe ogni rapporto con XiaoQun; la ragazza aveva aperto gli occhi molto prima di lui sulla realtà che li circondava. Nelle pagine finali assistiamo al dissolversi dei sogni di grandezza, del senso di sicurezza di intere generazioni all'annuncio della dipartita del “Grande Timoniere”, che getta nello scompiglio un intero popolo ammaliato per un ventennio dalla sua figura.
Tra i tanti riconoscimenti che Una vita cinese si è aggiudicata, c'è il Dragone d'Oro del Gran Premio del Fumetto Cinese; l'attuale regime illuminato di Xi Jinping (come ricorda Pierre Haski nell'attenta prefazione della graphic novel), rappresentate della quinta dinastia di governanti comunisti del Paese, ha infatti preso le giuste distanze dal maoismo. L'opera di Kunwu contribuisce a infrangere quell'illusione attraverso un saggio di realismo e disincanto avvolto da un velo di ironia e da tanta amarezza. La denuncia del maoismo e la presa di coscienza da parte dell'autore è netta, lontana dalla totale devozione di quegli anni, narrata attraverso i suoi occhi di fanciullo e poi di ragazzo.
Non è semplice far emergere il coinvolgimento che questo punto d'incontro tra manhua e bande dessinée - pubblicato in Francia da Kana (gruppo Dargaud) e portato con merito in Italia da add Editore - è in grado di trasmettere. Il valore di un classico è quello di essere sempre contemporaneo perché capace di esprimere, attraverso uno specifico soggetto, condizioni ed emozioni universali. Il tempo del padre, con il suo tratto assolutamente personale, potente e caricaturale, ci riesce alla perfezione. Nella tragedia e nella follia collettiva della Cina maoista capiamo quanto sia facile per l'uomo - e lo viviamo oggi più che mai - rinnegare se stesso, abbandonarsi a un idolo e alienarsi da ciò che ha di più prezioso e distintivo: cuore e intelletto.