Una sconfinata giovinezza - La recensione

Una coppia sposata e senza figli si ritrova a dover fronteggiare una malattia terribile. La pellicola di Pupi Avati sarebbe un decente prodotto da prima serata televisiva, peccato che sia un film per le sale...

Condividi

Recensione a cura di ColinMckenzie

Titolo Una sconfinata giovinezza
RegiaPupi Avati
Cast
Fabrizio Bentivoglio, Francesca Neri, Lino Capolicchio, Manuela Morabito, Erica Blanc, Serena Grandi, Gianni Cavina
Uscita08-10-2010 

E' difficile trovare un film italiano di cui si sia parlato di più negli ultimi tempi. Una sconfinata giovinezza, dopo non essere stato accettato in concorso al Festival di Venezia, è diventato la pietra dello scandalo, tra accuse poco ragionevoli del regista e appoggi da ambienti giornalistico-politici di una parte ben precisa, che urlavano sostanzialmente al complotto comunista.

Dopo la visione del film, la cosa più semplice da dire, ma anche la più corretta, è: tutto qui? O meglio, come era ipotizzabile, tanto rumore per nulla. Siamo di fronte a un normale prodotto per la prima serata Rai o Mediaset, una storia senza estremi e spigolature, che parla di un male feroce, ma in maniera fin troppo debole per rendere giustizia a un soggetto del genere. Non saranno certo qualche parolaccia o scena leggermente sopra le righe per risollevare il film da questa mediocrità da piccolo schermo, rinforzata anche da una fotografia che sembra volutamente moscia come il resto della pellicola (almeno, in questo c'è una - poco lodevole - coerenza).

La lista degli errori è assolutamente lunga, ma due spiccano sul resto. Intanto, la generale sensazione di falsità di tutta l'opera e dei suoi personaggi. Se, come detto, di forza espressiva ce n'è poca, a livello narrativo le assurdità si sprecano. Vi pare normale che un malato grave di Alzheimer venga ripetutamente lasciato solo in casa? O che, in un momento in cui tutti si dovrebbero preoccupare per lui, l'unica cosa importante è chiedere a un'altra persona di convincerlo a chiamare la sua famiglia? Per non parlare di tanti particolari sul finale che non sto a spoilerare, ma che hanno ben poco senso (a cominciare dalla conclusione misteriosa).

Il secondo errore è probabilmente anche più grave. Questo dovrebbe essere un film tutto giocato sui sentimenti e che mette al centro l'amore di una coppia e quello che succede quando questo rapporto vacilla per colpa della malattia, giusto? Certo, ma allora è una colpa notevole scordarsi nei momenti più importanti il personaggio di Francesca Neri, che dovrebbe rappresentare lo sguardo dello spettatore, che grazie a lei dovrebbe essere coinvolto dalla vicenda. Ma tutto questo non può succedere, visto che Avati si concentra quasi completamente sul protagonista maschile, mostrato sia nel presente che quando era un ragazzino. Così facendo, peraltro, si perde un'interpretazione molto interessante della Neri per puntare su quella di Bentivoglio, in uno dei classici ruoli 'forti' facili da osannare, anche se a mio avviso molto più semplici da interpretare di quelli 'normali'.

Inoltre, non si può certo dire che i comprimari spicchino in nessun modo, tanto che è difficile ricordarsi qualcosa di significativo compiuto da qualcuno che non sia uno dei due protagonisti. Di fronte a tutti questi bozzetti di un mondo alto borghese di cui vediamo solo una pallida superficie, viene voglia di rivalutare anche le prove peggiori di Gabriele Muccino. Ma d'altronde, se ormai si urla al capolavoro per Woody Allen appena fa un film decente, normale che molta critica sia di bocca buona per Avati. Certo, quelli che attaccano (giustamente) un certo mediocre cinema italiano fatto di buone cause politically correct, poi dovrebbe spiegarmi cosa c'è di cinematograficamente notevole in Una sconfinata giovinezza. A loro, al regista e al folto pubblico che se lo è perso all'epoca, non posso fare altro che consigliare la visione di Away From Her. Soggetto molto simile, risultati di tutt'altro livello...

Continua a leggere su BadTaste