Una famiglia vincente - King Richard, la recensione

Concentrato a tal punto sul suo protagonista da non vedere nient'altro Una famiglia vincente è un film in cui si sente la manina delle produttrici che guida la regia

Critico e giornalista cinematografico


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Una famiglia vincente, la recensione

Non ci sono dubbi sul fatto che su Una famiglia vincente pesi l’ombra di La ricerca della felicità. Il film sulla storia vera di Richard Williams è pensato per ricalcare gli elementi vincenti del film sulla vera storia di Chris Gardner, a partire dal fatto che entrambi vedendo qualcuno con più soldi di loro decidono di impegnarsi a raggiungere quella ricchezza in quel modo, fino al fatto che è una storia di padri e figli in cui tutto il dolore è sulle spalle del padre, una storia di costruzione dell’etica e della morale attraverso la costruzione di un patrimonio. In particolare questo dovrebbe essere cinema sportivo, ma in nessun momento la storia parla dello sport come forma di miglioramento umano, lo sforzo e la dedizione per cambiare una vita; semmai è la storia dello sforzo e della dedizione per migliorare il conto in banca e senza farne mistero, anzi! Esiste una linea chiarissima in questo film che collega successo e denaro, intendendo il secondo come l’obiettivo vero che per raggiungere il quale serve il primo.

Ma più di La ricerca della felicità (che nasceva classico) questo è un film immerso nel suo tempo, uno sulla supremazia nera e il riscatto afroamericano (cosa solo tangenzialmente toccata in quello del 2006), in cui la strada verso il successo di uno è l’apertura di una porta per chi era sempre rimasto fuori, è l’esaltazione di Richard Williams contro l’establishment ricco e molto molto bianco a cui gli afroamericani interessano quando gli fanno fare soldi, lasciandone un po’ anche a loro. Richard Williams invece guida sempre l’auto (o il pulmino) dà lezioni ai grandi maestri non si fa mai insegnare niente da nessuno e questo, tra alti e bassi, è un altro dei suoi valori che il film celebra.

È una visione molto particolare che potrebbe creare un ottimo film. Potrebbe. Perché Una famiglia vincente è decisamente poco ispirato. L’intento celebrativo è nascosto in modi davvero goffi. Di continuo si avverte la gentile mano della famiglia Williams sulla spalla di Reinaldo Marcus Greene, che guida un film con così poca personalità da scomparire dietro alle intenzioni di chi lo ha finanziato.

Richard Williams protegge le figlie da tutto. Le protegge dalla strada e dai tipi loschi di Compton, come le protegge dall’ambiente bianco e snob dei circoli di tennis, Richard Williams tiene la barra dritta e non vuole diventare bianco per essere accettato dai bianchi. Richard Williams ha un piano e non ha sbagliato niente. Il suo difetto è l’arroganza ma sparisce di fronte all’esattezza della conquista, che è la parte impressionante della storia ma anche la grande debolezza di un film in cui è difficile stare con dei protagonisti così esaltati.

E fa impressione però come la cronaca di una rivoluzione di ruoli nel mondo del tennis sia così lontana poi dal rivoluzionare i ruoli nei film. Tradizionale come pochi altri film, con un grande uomo dietro due grandi donne che non parlano quasi mai, e anche dietro una moglie dai timidi tentativi di conquista del proscenio, Una famiglia vincente è una traduzione sbagliata perché davvero questo è un film su King Richard, e solo su di lui. Un film in cui Will Smith assume su di sé tutte la parti. È il mentore ma è anche quello che vediamo faticare per arrivare alla meta, è quello che soffre il razzismo (più delle figlie) e quello che soffre la borgata (al posto delle figlie, perché è lui molestato dai teppisti). Alla fine chiaramente è anche quello che trionfa, più delle figlie stesse e a totale discapito di un film corretto ma che non ha altro da dire se non le lodi per il suo protagonista.

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