Una bugia per due, la recensione

L'esordio alla regia dell'attore Rudy Milstein è un mix vincente di commedia sentimentale e satira politica.

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La recensione di Una bugia per due, il nuovo film diretto da Rudy Milstein, in arrivo al cinema dall’1 febbraio.

È un esordio notevole quello di Rudy Milstein. Alla sua prima regia, anche coautore della sceneggiatura, l’attore francese dimostra di avere già ben chiaro cosa dire e come dirlo. Una bugia per due è una commedia sociale tanto divertente quanto acuta nel raccontare il presente. Un film politico che non sembra mai a tesi, perchè ha quella capacità rara di trasformare i meccanismi del genere – dalla risata all’equivoco – in piccoli momenti di illuminazione, legando l’emozione alla scoperta dei lati paradossali della realtà. Di fare buona satira, in sostanza, trattando la comicità come strumento di osservazione anzichè come rifugio o comfort food per la mente.

Louis (Vincent Dedienne) è un avvocato alle prime armi, troppo gentile e sottomesso per essere preso sul serio dai colleghi. Tutto cambia quando il suo studio legale assume la difesa di una multinazionale di pesticidi accusata di aver provocato tumori ad alcuni impiegati. A Louis viene infatti diagnosticato un cancro, cosa che lo rende preziosissimo nei negoziati con l’associazione delle vittime. Improvvisamente la sua carriera decolla, e quando scopre di non essere davvero malato, mente, non riuscendo a rinunciare ai vantaggi della sua falsa condizione.

È un peccato che la distribuzione italiana abbia voluto tradire il titolo originale del film. In quel Je ne suis pas un héros c’è tutto lo statementpolitico di Milstein. Che, certo, racconta il germogliare di una coscienza sociale in un uomo vigliacco (“non un eroe”), una specie di anti-Erin Brockovich, che rischia di fare la cosa sbagliata in un sistema dove grandi potenze economiche distruggono impunite la vita e i corpi dei lavoratori. Ma fa anche, più sottilmente, un film sull’importanza che l’ostentazione di eroismo ha assunto nella comunicazione politica odierna. Il punto non è più solo che le multinazionali avvelenano gli operai, ma se una donazione da un milione basterà a comprarne il silenzio ed evitare un danno d’immagine (ricorda qualcuno?).

Se Una bugia per due incita a un gesto eroico, questo consiste nel dubitare dell’eroismo come strategia retorica, tanto da parte della grande azienda/influencer di turno quanto nel nostro modo di comunicarci al mondo. È un film sull’esibizionismo morale, quella tendenza - tipicamente contemporanea e legata ai social – a proporre un’immagine di sè ineccepibile, ostentando in modo interessato inclusività o sensibilità alla sofferenza altrui. Per questo la falsa diagnosi di Louis ne fa uno strumento politico così pericoloso, e un personaggio tanto convincente: la sua è un’impasse che conosciamo bene, che in qualche misura ci appartiene perchè consustanziale alla realtà che ci circonda. In risposta Milstein si ritaglia un ruolo beffardamente antitetico, quello dell’amico Bruno reso insensibile alle emozioni da un ictus. Un “pezzo di legno” come antidoto disincantato a una società che nasconde dietro una facciata amichevole le proprie ingiustizie.

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