Una Bugia Buona, la recensione
Per raccontare un animo diviso tra due nature Una Bugia Buona è interamente costruito a metà tra narrazione cinese e stile americano
UNA BUGIA BUONA, DI LULU WANG: LA RECENSIONE
Il viaggio dall’America fino alla Cina per stare vicino ad una nonna che sta morendo è il momento in cui Billi si scontra per davvero, e finalmente, con la sua cultura di provenienza. È americana a tutti gli effetti ma nata da una famiglia di immigrati cinesi. Conosce il cinese ma non bene, conosce le usanze cinesi ma non bene, conosce i cinesi ma non bene. È sicuramente più americana, eppure quel mondo con cui è cresciuta e che identifica con la nonna sta crollando mentre il suo presente in America è molto lontano dall’essere ideale. Per la prima volta un viaggio in Cina la destabilizza davvero.
Una Bugia Buona, in Italia presentato meritoriamente dalla Festa del Cinema di Roma, è sostanzialmente una storia asiatica, di quel tipo che in Occidente abbiamo imparato a conoscere con i film di Ozu, cioè i familiari che si sacrificano per stare assieme ai membri anziani della famiglia, in modo che non lo debbano fare altri, ma girata da un’americana con uno stile indie. Raramente abbiamo la fortuna di vedere un film mezzosangue, uno la cui fattura sia a metà strada tra due nature, dotato del gusto per la composizione dell’immagine e per l’uso dei diversi piani dell’immagine asiatico e della semplicità, dinamica e del ritmo statunitensi. E Una Bugia Buona è anche un capolavoro.
Su tutto però è lei, Billi, interpretata dalla rapper realmente sino-americana Awkwafina, a dare una grandissima profondità di lettura a Una Bugia Buona.
Billi è al tempo stesso sveglia e spenta. Ha uno sguardo e un’andatura molto cinesi, con un occhio a mezz’asta e sta spesso zitta. Fornisce l’impressione di essere addormentata, ma quando parla brilla per acume e interesse, per sfrontatezza e un forte desiderio d’affermazione. Ha più di 30 anni ma in quel momento e in quel contesto sembra un’adolescente. Spesso non è al centro della scena ma guarda, assorbe, vive gli ultimi momenti della nonna con il resto della famiglia, sembra se ne voglia sempre andare e riesce a portare anche nei momenti più divertenti una strana ondata di tristezza che semina ovunque nel film per poi raccoglierla nell’ultima inquadratura, di ritorno a New York. Awkwafina non recita spontaneamente se stessa come spesso fanno i musicisti attori, ma cerca davvero di creare un personaggio che ha solo qualche punto in comune con lei e vive di altre movenze e espressioni, uno teatrale a tratti ma perfetto per essere l’ariete di un film fantastico.
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