Un uomo felice, la recensione
Un uomo felice non sa sfruttare al massimo le sue premesse, non parla a chi guarda se non per la bontà dei suoi intenti
La recensione di Un uomo felice, al cinema dal 9 marzo
Il tema principale attraverso cui Un uomo felice mette in luce le contraddizioni della società è quello dell’identità di genere, che è anche la premessa comico/drammatica del film: proprio quando Jean (Fabrice Luchini) sta preparando la sua ricandidatura alle elezioni comunali, la moglie Edith (Catherine Frot) decide di fare finalmente coming out col marito e gli rivela di essersi sempre sentito un uomo: d’ora in poi dovrà chiamarlo Eddy. Jean è omofobo e conservatore (come il suo elettorato) perciò il conflitto è dietro l’angolo: Un uomo felice è quindi la storia di due uomini che cercano la loro realizzazione, l’approvazione sociale e di ristabilire una nuova relazione personale.
Questa caratterista, tuttavia, si rivela presto essere anche il limite stesso del film. Il protagonista dovrebbe essere Eddy e con lui la sua transizione (e lo si capisce dalla centralità che viene data al conflitto del personaggio); eppure mentre quella di Eddy è una transizione totalmente pacifica, quando è il momento per Jean di rivedere le sue convinzioni la facilità con cui ciò si manifesta è di una semplicità fin troppo surreale, spinta, forzata. Insomma poco credibile, sbagliata nei tempi narrativi e motivata proprio da quella empatia per Jean che sembra un po’ obbligarci a farci passare sopra a tale facilità narrativa.
Che il film tratti di temi attuali è innegabile, come è innegabile che riesca a divertire e a trovare delle dinamiche funzionanti. Però oltre a questo Un uomo felice non sa sfruttare al massimo le sue premesse, non parla a chi guarda se non per la bontà dei suoi intenti, mancando quindi l’occasione di usare un linguaggio semplice ed efficace per parlare di temi complessi.
Siete d’accordo con la nostra recensione di Un uomo felice? Scrivetelo nei commenti!
Vi ricordiamo che BadTaste è anche su Twitch!