Un silence, la recensione
Storia di abusi famigliari che preferisce concentrarsi sul dramma di una madre, Un silence arriva dalla parti della soap opera
La recensione di Un silence, presentato alla Festa del cinema di Roma
La trama ruota attorno a un noto avvocato (Daniel Auteuil) impegnato in un processo difficile, proprio quando il cognato fa emergere oscuri segreti dal suo passato, mettendo a dura prova l'uomo, la moglie, (Emmanuelle Devos), che tace da troppo tempo, e il loro giovane figlio, anch'egli vittima del padre. Il regista Joachim Lafosse torna a raccontare complessi legami famigliari, ma il risultato è ben distante da quel Dopo l'amore con cui anche in Italia è diventato un nome conosciuto. Se quest'ultimo era attraversato da un controllo formale e narrativo che lo rendeva tanto rigoroso quanto potente, Un silence si lascia presto andare a facili concessioni. Il cineasta infatti fa sentire la propria mano, pone la macchina da presa vicino ai personaggi, trasmettendo il loro stato confusionale, utilizza gli interni per veicolare una prigione fisica e mentale. Ma allo stesso tempo ricorre sovente a musiche enfatiche per sottolineare i momenti clou e carica d'intensità una storia che parla di temi molto forti con un andamento da soap opera.
Un silence guadagna interesse solo quando assume la prospettiva del figlio, ma è troppo poco il minutaggio concessogli. Orizzonte confermato dal finale, che invece di puntare sul climax del colpo di scena che riguarda il ragazzo, preferisce dare un ultima attenzione alla donna, un'ultima dose di carica emotiva. Come se fosse ancora necessario.