Un ragionevole dubbio, la recensione

Il crime thriller con Dominic Cooper e Samuel L. Jackson diretti dal regista di Sliding Doors sotto pseudonimo...

Condividi

Il procuratore distrettuale Mitch Brockton (Doominic Cooper) investe brutalmente un passante al termine di una serata animata dalla tequila. Per paura di essere processato per guida in stato di ebbrezza, chiama il 911 ma non aspetta l’arrivo dell’ambulanza. La stessa notte la polizia ferma Clinton Davis (Samuel L. Jackson) che trasporta sul suo furgone il corpo dell’uomo travolto. La sentenza è già decisa vista l’assenza di prove: Davis colpevole di una serie di omicidi, tutti accomunati dal modus operandi, e il guidatore reo di omissione di soccorso misteriosamente scomparso.

Un Ragionevole Dubbio è diretto da Peter Howitt (Sliding Doors, Johnny English) che per l’occasione si nasconde dietro allo pseudonimo di Peter P. Croudins. Il cast vede Cooper rivaleggiare con Samuel L. Jackson, che se inizialmente è dipinto come un meccanico impaurito che ha benevolmente soccorso un passante sanguinante, lungo lo svolgimento delle indagini si trasforma in un veterano serial killer che opera negli innevati vicoli bui della metropoli.

Il film parte rievocando la trama del Giustizia Privata (2009) di Gary Gray. Un avvocato deciso e preciso in preda ai sensi di colpa per la fallibilità del sistema giudiziario. Alle sbarre invece il terrorizzato Davis che, come accadde all’ingegnere Gerard Butler, seguì impotente l’omicidio di moglie e figlia.

Se nella prima parte Un Ragionevole Dubbio analizza le contraddizioni morali del procuratore, perennemente in bilico tra l’esigenza lavorativa di accusare Davis e la consapevolezza della sua innocenza, è nelle seconda parte che il film intraprende con poca fantasia la strada del thriller, perdendo a poco a poco la veste legale che decretava la riuscita dei primi momenti.

La trama vira su sentieri prevedibili, all’insegna dello scambio di parti buono-cattivo, e il montaggio, che presumibilmente doveva respirare grazie ai colpi di scena, decelera anche nei segmenti più ovvi, come quello delle minacce telefoniche o della violazione di domicilio, salvo poi muoversi rapidamente verso un finale che riacquisisce positivamente la tensione dell’incipit.

L’opera non brilla di inventiva e il ricorso a numerosi cliché del thriller non aiuta facendo sprofondare il film su uno dei più mediocri livelli televisivi. Se Un Ragionevole Dubbio ha un merito in fatto di groviglio diegetico è sicuramente quello di abbordare numerosi stereotipi lasciandoli irrisolti: è il caso ad esempio del coma di un comprimario che, vista l’importanza che lo lega al protagonista, si crede che porti il lungometraggio al “gioco del silenzio”, ossia quella verità sconcertante che non può rivelarsi a causa della morte clinica del paziente. Il ragionevole dubbio, che si tratti di plot holes o false piste sbriciolate dallo sceneggiatore Peter A. Dowling ( Flighplan – Misterio in Volo), perde gran parte della sua discutibilità quando si avverte il taglio che separa nettamente primo e secondo tempo, svelando la cura superficiale che ha simultaneamente sacrificato inquadratura e testo.

Continua a leggere su BadTaste