Un piedipiatti a Beverly Hills: Axel F, la recensione

Il ritorno di Un piedipiatti a Beverly Hills è tutto giocato in difesa, non entusiasma ma è corretto, ed Eddie Murphy è in forma

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Un piedipiatti a Beverly Hills: Axel F, il quarto film della serie Beverly Hills Cop, disponibile dal 3 luglio su Netflix

Un piedipiatti a Beverly Hills: Axel F, c’è il nome nel titolo, o almeno il nome e l’iniziale del cognome (nel film esiste tutta una questione intorno all’uso del cognome Foley) come in Top Gun: Maverick, niente numeri per questo sequel, solo il nome. Trenta anni dopo Beverly Hills Cop III, cioè dopo l’ultima operazione di polizia che Foley ha eseguito a Los Angeles e che il suo nuovo partner bianco Joseph Gordon Levitt, nel ricordarla, definisce “Non il tuo momento migliore”. I sequel che screziano altri sequel nella speranza che stavolta sia tutta un’altra storia. Sorpresa: lo è.

Un piedipiatti a Beverly Hills: Axel F non è Il principe cerca figlio, l’allucinante film sequel di Il principe cerca moglie che Eddie Murphy aveva consegnato a Prime Video, ma un buon film della serie Beverly Hills Cop che viene consegnato a Netflix. Non è merito delle piattaforme ovviamente ma, una volta tanto, della produzione. Stavolta il potere non è nelle mani della società di Murphy che per Il principe cerca figlio scelse il regista del remake di Footloose e gli sceneggiatori di Il professore matto, ma in quelle di Jerry Bruckheimer, gigantesco produttore di film d’azione (quelli di Michael Bay e ovviamente del primo film della serie) che, nonostante l’età, è ancora in grado di scegliere un regista di pubblicità che replichi lo stile giusto e degli sceneggiatori che sappiano imitare quelle trame e quell’ironia. In tempi di remake e sequel spregiudicati Dio salvi i buoni produttori!

Così siamo di nuovo nel mondo dell’hard boiled di Los Angeles in forma di commedia, alleggerito ma coerente, quello in cui un mistero ne tira un altro, testimoni scompaiono, poliziotti che indagano per conto proprio non si trovano più e chi è accusato probabilmente è innocente ma la cospirazione è sempre gigantesca. C'è un cattivo in completo, spietato e con i suoi sgherri, e come sempre c’è un alieno a indagare, un poliziotto che viene da Detroit e ancora prima viene dalla strada (“Sono nero da più tempo di quanto non sia poliziotto” dice Axel per spiegare che se un agente gli punta la pistola di certo non si azzarda a muoversi), ha metodi da strada ed è più furbo di tutti. In più c’è la figlia che non vuole più vedere il padre ma che è costretta a vederlo perché al centro del caso c’è un suo cliente e quindi la sua incolumità.

Questo non è certo il miglior film della serie e non concorre nemmeno per esserlo, è un capitolo che replica tutto, non è brutto e cerca di non farsi nemici. Gioca in difesa, e come molto spesso accade per la parte migliore dei prodotti di Netflix, si lascia guardare senza rimanere impresso ma anche senza infastidire. La cosa migliore che si può dire sul film è che è corretto, che Eddie Murphy (il cui senso della commedia è precipitato nei decenni) non fa danni, anzi in più momenti è un valore aggiunto. A sprazzi si vede pure una buona idea d’azione. Certo, azione anni ‘80, azione come si intendeva una volta, ma in fondo cosa guardiamo a fare il quarto film della serie Beverly Hills Cop, 40 anni dopo il primo, se non per quello?

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