Un oggi alla volta, la recensione
La nostra recensione di Un oggi alla volta, nuova espressione del filone italiano "giovani e malattia terminale", dal 25 luglio al cinema
La nostra recensione di Un oggi alla volta, dal 25 luglio al cinema
Marco, adolescente timido e poco avvezzo allo studio, è alle prese con l'ultimo anno di Superiori, che porta alla Maturità. Durante una serata, incontra Giulia, che gli lascia il numero dell'amica Aria, credendoli perfetti l'uno per l'altra. Così avviene: i due iniziano a scriversi e poi a frequentarsi. Quando tutto sembra andare per il verso giusto, la malattia degenerativa torna a colpire la ragazza, incrinando la loro relazione.
Come se SKAM Italia e Prisma non avessero insegnato niente, il ritratto degli adolescenti non prevede sfumature e ambiguità, in un orizzonte conciliante rivolto a un pubblico ancora più giovane. Il punto di non ritorno è quando i protagonisti, dopo aver bevuto solo succo di frutta, si avvicinano a una birra, che diventa perfetta scusa del "avevamo bevuto!". Non se la passano bene neanche gli adulti: le professoresse sono arpie che godono nel dare brutti voti, i genitori irresponsabili e insensibili. No, non è l'assunzione del punto di vista dei protagonisti: è segno di poca cura nella scrittura.
Un oggi alla volta non migliora, anzi, quando nella seconda parte abbraccia in pieno il tema della malattia, che irrompe all'improvviso, dando l'impressione di un escamotage per portare da qualche parte le vicende. In più, il filone è per definizione ricattatorio e il film fa di tutto per conformarsi a quest'accezione, tra momenti lacrimosi, musica triste e pillole sulla vita e sull'amore. Strumenti forzati per cercare di farci appassionare a una storia altrimenti insapore.