Un Nuovo Giorno, la recensione
Storia di una donna intrappolata nel corpo di un uomo, Un Nuovo Giorno si schiera invece di osservare e cerca l'enfasi ovunque flirtando con il ridicolo
Seguiamo Giulio fin dalle elementari, da quando la sua idea di essere femmina e farsi chiamare Giulia gli attira l’odio e il disprezzo dei compagni e di maestri e psicologhe. Poi lo vediamo ragazzo e adulto cercare di trovare una propria strada, dei propri amori e infine decidere per la grande operazione. Diventato trans però non vivrà una vita più facile.
Un nuovo giorno è un film che non ha dubbi su quale sia la posizione da prendere, come sempre nei film di Calvagna lo schieramento è una questione di tifo e non ha sfumature. Il problema però è che questo non avviene con lo sguardo ma con le parole. La scelta del film non è quella di lavorare su come vengono guardati i personaggi (con pietà, con rispetto, con livore o con partecipazione) ma di lavorare su quel che dicono, risultando in un’eccessiva santificazione di Giulia, senza la consapevolezza di voler ricalcare il martirio.Purtroppo sceneggiatura e recitazione sono di livello bassissimo e questo, unito a uno stile di racconto dal ritmo molto blando che riempie d’enfasi esagerata ogni scena, tenendo così sempre troppo vicino il ridicolo, subito posiziona il film sul fondo del barile del gradimento. Le peripezie di Giulio però subiscono un’incredibile battuta d’arresto a tre quarti, uccidendo anche quel poco di interesse che l’inizio aveva stimolato. Solo una parte finale in cui entra in scena il trans sembra ridare al film un minimo di afflato. Il viaggio e la voglia di documentare il cambio di sesso abusando di scenari stranieri ed esotismo, con attrezzature un po’ più leggere e riprese all’aria aperta quasi documentaristiche, paiono le uniche scelte sensate di un film che per il resto annaspa dall’inizio alla fine.