Un mondo a parte, la recensione
Un mondo a parte appartiene al cinema dell'esilio: un professore in una scuola diversa con una missione: salvarla dalla chiusura
La varietà geografica dell’Italia ha permesso di creare una situazione narrativa così abusata da diventare un genere a parte: quella dell’esule. Un personaggio in esilio, mandato da altri o di sua spontanea volontà, in un posto sperduto, molto diverso da quello a cui è abituato. Dovrà ammorbidire le sue rigidità e cambiare il proprio punto di vista. Il filone moderno è partito con il francese Giù al Nord, ma siamo riusciti anche noi a farlo diventare particolarmente fortunato tra remake e ispirazioni varie. Un mondo a parte, di Riccardo Milani, lavora entro questa cornice.
Un mondo a parte è una fiaba all’italiana che funziona proporzionalmente a quanto stanno vicini Albanese e Raffaele. Il carisma dei due è innegabile e riesce a creare una comicità efficace soprattutto quando lavora con le piccole cose. La scena migliore è una camminata dal negozio in cui il maestro ha preso i vestiti da montagna fino alla scuola, tutta dialogata con gli “ohi!” dei paesani. Funziona la schiettezza della vicepreside e l’ingenua bonarietà di Cortese (di nome e di fatto). Un film in cui i buoni sentimenti impregnano una scrittura che permette allo spettatore di diventare amico di tutti i personaggi positivi. Un cinema dignitosamente dai buoni sentimenti.
L’andamento semplice, eppure rigoroso, inizia a sobbalzare avvicinandosi a una chiusura che Milani fatica a trovare. Man mano che diminuisce l’ironia, aumenta il tentativo di arruffianarsi il pubblico. Se fino a poco dalla fine il maestro Cortese ha fatto un percorso di perdita dell’ingenuità, sulla chiusura il film la riprende con orgoglio. La sua visione della natura ritorna identica all'inizio, i suoi "pregiudizi positivi" sono ribaditi in un finale meno riuscito rispetto al resto.
Un mondo a parte è una commedia d’altri tempi, perché ragiona proprio guardando agli schemi del passato come soluzione del presente. Mentre il declino demografico costringe a “chiudere prima le scuole, poi i paesi” (come detto rapidamente nel mezzo di un bel dialogo), la comunità è chiamata a fare fronte comune e a tornare a costruire. È bello che il cuore di questa commedia stia tutto nel nome della scuola, intitolata a Jurico, il poeta pastore. Un uomo che ha dato nobiltà al diritto a restare sulla propria terra. Una guida per liberarsi dalle ansie e dal superfluo del presente.
Se anche Milani fosse riuscito a liberare il film da qualche piccolo eccesso, questa semplice fiaba sarebbe potuta diventare addirittura poetica.