Un mondo a parte, la recensione

Un mondo a parte appartiene al cinema dell'esilio: un professore in una scuola diversa con una missione: salvarla dalla chiusura

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Spoiler Alert

La varietà geografica dell’Italia ha permesso di creare una situazione narrativa così abusata da diventare un genere a parte: quella dell’esule. Un personaggio in esilio, mandato da altri o di sua spontanea volontà, in un posto sperduto, molto diverso da quello a cui è abituato. Dovrà ammorbidire le sue rigidità e cambiare il proprio punto di vista. Il filone moderno è partito con il francese Giù al Nord, ma siamo riusciti anche noi a farlo diventare particolarmente fortunato tra remake e ispirazioni varie. Un mondo a parte, di Riccardo Milani, lavora entro questa cornice.

Antonio Albanese è Michele Cortese, un insegnante delle elementari che ha chiesto di essere trasferito in una scuola con pluriclasse isolata nel Parco Nazionale d’Abruzzo. Se ne pentirà presto. La sua visione idilliaca della natura non è condivisa dagli abitanti del posto che ne conoscono le fatiche. Anche se Michele non lo vuole è come se guardasse quei bambini e quelle persone con la superiorità della città. Questa sua difficoltà non sfugge alla vicepreside Agnese (Virginia Raffaele) che lo aiuterà a sopravvivere ai mesi di docenza nella neve, ad ambientarsi e a lottare contro la chiusura dell'istituto. 

Un mondo a parte è una fiaba all’italiana che funziona proporzionalmente a quanto stanno vicini Albanese e Raffaele. Il carisma dei due è innegabile e riesce a creare una comicità efficace soprattutto quando lavora con le piccole cose. La scena migliore è una camminata dal negozio in cui il maestro ha preso i vestiti da montagna fino alla scuola, tutta dialogata con gli “ohi!” dei paesani. Funziona la schiettezza della vicepreside e l’ingenua bonarietà di Cortese (di nome e di fatto). Un film in cui i buoni sentimenti impregnano una scrittura che permette allo spettatore di diventare amico di tutti i personaggi positivi. Un cinema dignitosamente dai buoni sentimenti.

I problemi iniziano quando il film si dimentica di stare compiendo già un compito alto: cioè raccontare l’Italia attraverso i suoi contrasti, le sue assurdità (il precariato terribile degli insegnanti), ma anche la capacità di accettare le fatiche che non è rassegnazione, ma stoica resistenza. Verso il finale iniziano ad abbondare le sequenze di troppo che vogliono dire più del necessario. Una sottotrama con una ragazza lesbica non accettata dal paese, in particolare, è un di più che nulla aggiunge al film e molto toglie in termini di eleganza stilistica. C’è la guerra in Ucraina insieme al tema dell’accoglienza, ma sono inseriti più per permettere alla trama di progredire che per dare un pensiero diverso a quanto già affermato nell’ottima prima parte. 

L’andamento semplice, eppure rigoroso, inizia a sobbalzare avvicinandosi a una chiusura che Milani fatica a trovare. Man mano che diminuisce l’ironia, aumenta il tentativo di arruffianarsi il pubblico. Se fino a poco dalla fine il maestro Cortese ha fatto un percorso di perdita dell’ingenuità, sulla chiusura il film la riprende con orgoglio. La sua visione della natura ritorna identica all'inizio, i suoi "pregiudizi positivi" sono ribaditi in un finale meno riuscito rispetto al resto.

Un mondo a parte è una commedia d’altri tempi, perché ragiona proprio guardando agli schemi del passato come soluzione del presente. Mentre il declino demografico costringe a “chiudere prima le scuole, poi i paesi” (come detto rapidamente nel mezzo di un bel dialogo), la comunità è chiamata a fare fronte comune e a tornare a costruire. È bello che il cuore di questa commedia stia tutto nel nome della scuola, intitolata a Jurico, il poeta pastore. Un uomo che ha dato nobiltà al diritto a restare sulla propria terra. Una guida per liberarsi dalle ansie e dal superfluo del presente. 

Se anche Milani fosse riuscito a liberare il film da qualche piccolo eccesso, questa semplice fiaba sarebbe potuta diventare addirittura poetica. 

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