Un matrimonio mostruoso, la recensione

Meno dinamico del primo e ancora più calcato su dinamiche televisive e molti vfx elementari Un matrimonio mostruoso è un film di decenni fa

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Un matrimonio mostruoso, secondo film della serie, in uscita il 22 giugno al cinema

Ma Lillo dov’è? Era uno dei protagonisti di Una famiglia mostruosa e ora in questo sequel il suo personaggio è scappato in un paradiso fiscale, lasciando tutti nei debiti. Ha inscenato una finta morte (il modo in cui avviene è una delle rare trovate divertenti) e un finto funerale con la complicità dell’avvocato (Ricky Memphis), truffato anch’egli. In una scena vediamo il personaggio sorseggiare una bevanda davanti ad una piscina, ma è seduto di spalle e coperto dallo schienale della sdraio. Insomma palesemente è coperto perché non è Lillo. Pure i peli del braccio che si scorge sembrano finti. L’unica cosa reale è la sua voce.

Siamo all’inizio di Un matrimonio mostruoso e già il film rispolvera trucchi (che forse non possono nemmeno essere definiti davvero “trucchi” più “piccole furbate che non sono tali”) da cinema italiano da pochissimo degli anni ‘70 o ‘80 per ovviare ad un problema di produzione nella maniera peggiore. È insieme una dichiarazione di disistima nei confronti del pubblico di riferimento e una specie di annuncio di quel che vedremo: un film che sembra venire dal passato, le classiche storie di tradimenti e mogli cadenti che vengono lasciate per donne più piacenti e sexy da mariti ritratti come poveri diavoli con cui immedesimarsi, travet stretti tra due donne che cercano di governare con il fine di un po’ di godimento dalla giovane e un po’ di pace e rifugio dalla più matura.

È il cinema di Lino Banfi o Pippo Franco mescolato con il garbato e acquietato senso della tradizione di Io che amo solo te, diventato negli anni un modello sempre più imitato di storie dall’impianto televisivo, con protagoniste una o più famiglie di cui ogni membro (quindi ogni generazione) ha la sua avventura o disavventura sentimentale. Rispetto al precedente infatti qui i ragazzi sono meno protagonisti e ognuno ha la sua trametta, attraverso la quale mostrare molti più effetti visivi e trucco e parrucco. Senza nessun bisogno che siano di alto livello. Eppure Un matrimonio mostruoso del suo cinema di riferimento riesce a non avere l’unica (davvero unica) componente con un po’ di senso: quel fare selvaggio estraneo al buon gusto.

Un matrimonio mostruoso invece vuole anche ricondurre tutto nelle regole del buon comportamento e della decenza, non abbraccia in pieno la sovversione totale, il volgare e il godereccio (con tutti i suoi problemi e le sue incongruenze) ma lo stempera con sovversioni finali che portano le donne a mettere nel sacco l’uomo e con una fastidioso matrimonismo ecumenico, ovvero quella tendenza a far convolare qualsiasi linea sentimentale nel più sacro dei vincoli. Non solo quindi non si ride, come nel primo, non solo c’è un po’ di senso d’imbarazzo, non solo c’è una prospettiva vecchissima su ruoli, personaggi e storia, ma nemmeno il piacere di un po’ di trasgressione fino in fondo delle solite buone regole!

Unica componente sensata sono le caratterizzazioni. Ilaria Spada, che già era l’attrice migliore nel primo, può allargare il suo personaggio, dargli una forma, imporsi e divertire un po’. Quando c’è lei il film è piacevole e tutto gira nel senso di una commedia vera, non sarebbe male che qualcuno la prendesse per un film propriamente detto. Massimo Ghini funziona bene come spalla, per quanto ripetitivo almeno è un carattere vero da commedia. Il resto è la solita noia prodotta in serie che pretende di essere originale. Tutti tranne Mattioli che ogni cosa che tocca e ogni battuta che pronuncia, con il suo classico carattere, sa trasformarla in umorismo.

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