Un castello per Natale, la recensione

Film come Un castello per Natale sono operazione di un opportunismo senza limiti che mettono noi spettatori sempre nella parte dei servi

Critico e giornalista cinematografico


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Un castello per Natale, la recensione

Film come Un castello per Natale non muoiono mai. Nascono da sceneggiature che sono capaci di stare nell’ombra anche per mesi, aspettano l’occasione giusta, il pretesto giusto o anche solo la stagione giusta per trovare dei produttori a cui possano servire, o anche solo dei pacchetti dei film bisognosi di fare numero in cui essere inserite e poi aggregano in fretta e furia un cast andando a pescare in quel bacino di nomi impressi nella memoria collettiva ma appartenenti a persone che poi non è che lavorino tanto, e alla fine quando è quasi fatta viene il meno: realizzarli.

Questo film di Natale che non è un film di Natale, ma forse sarebbe più corretto dire “un film la cui storia è parzialmente ambientata a fine Dicembre” è in realtà il più classico dei film romantici per non più giovanissimi, in cui una donna di successo e ricca (un classico) lungo tutta la storia compie scelte che ne certificano la dignità mentre nel frattempo qualcuno di soppiatto si innamora di lei.
La donna in questione è Brooke Shields, già protagonista di Laguna blu; lui è Cary Elwes, già protagonista di La storia fantastica e Robin Hood - Un uomo in calzamaglia.

Lei è romanziera di successo che prende decisioni così audaci da inimicarsi l’opinione pubblica (in un talk show di Drew Barrymore!), lui un nobile inglese in disgrazia nel cui castello hanno vissuto gli avi di lei come personale di servizio. Molta più trama non c’è. Come non c’è grande interesse a filmare questa storia per farla sembrare un film e non un episodio di una soap molto sofisticata. Tutto è improntato alla chiarezza dell’immagine e ad essere sicuri che un pubblico, percepito come molto molto distratto, comprenda tutto di una trama ripetitiva uguale a molte altre e ridotta all’osso.

Lei si innamorerà di lui per il piacere di innamorarsi ancora, lui di contro si innamorerà di lei perché sì, con un intero borgo fatto di ex servitori a guardare questo amore cortese moderno, amore cortese di tempi di crisi, rimaneggiato per non perdere tutte le sue figure archetipe. Perché possono anche essere cambiati i tempi e possono non esserci più i rapporti di sudditanza di una volta, ma comunque la servitù sta sempre lì a guardare gli amori dei signori. E la servitù siamo noi, pubblico di una storia girata in posti opulenti per sottolinearne l’inavvicinabile distanza, per mettere i protagonisti su un altro piano e noi invece su quello del cast di contorno, sempre inquadrato in piani di ascolto che sognante pende dalle labbra dei grandi che li degnano anche di parlare con loro.

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