Un castello per Natale, la recensione
Film come Un castello per Natale sono operazione di un opportunismo senza limiti che mettono noi spettatori sempre nella parte dei servi
Film come Un castello per Natale non muoiono mai. Nascono da sceneggiature che sono capaci di stare nell’ombra anche per mesi, aspettano l’occasione giusta, il pretesto giusto o anche solo la stagione giusta per trovare dei produttori a cui possano servire, o anche solo dei pacchetti dei film bisognosi di fare numero in cui essere inserite e poi aggregano in fretta e furia un cast andando a pescare in quel bacino di nomi impressi nella memoria collettiva ma appartenenti a persone che poi non è che lavorino tanto, e alla fine quando è quasi fatta viene il meno: realizzarli.
La donna in questione è Brooke Shields, già protagonista di Laguna blu; lui è Cary Elwes, già protagonista di La storia fantastica e Robin Hood - Un uomo in calzamaglia.
Lei è romanziera di successo che prende decisioni così audaci da inimicarsi l’opinione pubblica (in un talk show di Drew Barrymore!), lui un nobile inglese in disgrazia nel cui castello hanno vissuto gli avi di lei come personale di servizio. Molta più trama non c’è. Come non c’è grande interesse a filmare questa storia per farla sembrare un film e non un episodio di una soap molto sofisticata. Tutto è improntato alla chiarezza dell’immagine e ad essere sicuri che un pubblico, percepito come molto molto distratto, comprenda tutto di una trama ripetitiva uguale a molte altre e ridotta all’osso.