Un bel mattino, la recensione
Un bel mattino è sostanzialmente lo studio del suo personaggio, eppure è forse più la piacevole qualità estetizzante del film, che il suo contenuto, ciò che conquista durante la visione.
La recensione di Un bel mattino, al cinema dal 12 gennaio
Tra le amorevoli attenzioni per la figlia, lo spostamento del padre tra varie case di riposo e il suo ruolo di amante di un uomo sposato, Sandra rimane l’unico motivo di interesse per Mia Hansen-Løve. Un bel mattino è sostanzialmente lo studio del suo personaggio - il modo in cui Sandra affronta il dolore e poi una rinascita - eppure, nonostante il fluire della storia sia assolutamente scorrevole e appagante, è forse più la piacevole qualità estetizzante del film, che il suo contenuto, ciò che conquista durante la visione.
Tra gli immancabili colori pastello, un ritmo scandito dal passare di giorni sempre uguali ma leggermente diversi mentre i personaggi continuano a muoversi negli stessi luoghi (diverse case, un autobus, qualche paesaggio da cartolina), Un bel mattino sembra infatti più di tutto un’affermazione ripetuta - per quanto piacevole - di ciò che Hansen-Løve vuole essere sullo schermo. La poetica visiva della regista, così come il suo approccio agli attori, non si denota per originalità ma ha tuttavia la forza di essere riconoscibile quasi a colpo d’occhio e, in sé, coerente.
Moltissimo del coinvolgimento lo porta Léa Seydoux, un’attrice capace di uno spettro recitativo impressionante e che qui mostra il suo lato più trattenuto, eloquente con pochi sguardi e poche battute. Il resto lo fa l’astuta insistenza di Hansen-Løve nell’osservarla continuamente, quasi la regista si aggrappasse alla sua attrice per portare a compimento qualsiasi dimostrazione anche contenutistica. Che poi, alla fine, il discorso è anch’esso piuttosto semplice: la vita è breve. Godiamoci il presente.
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