Un bambino chiamato Natale, la recensione
La origin story di Babbo Natale di quest'anno la offre Netflix e ci aggiunge così tanti elementi che fatica a controllarli
La grande mitologia del Natale prevede che ogni anno siano sacrificati sul suo altare diversi nuovi film in cui raccontare da dove venga la tradizione dei doni e di Babbo Natale. Una vagonata di origin story diverse a partire dai medesimi elementi.
Non c’è da farsi illusioni Un bambino chiamato Natale è un film di scenari, di alberi, neve e renne, uno che punta moltissimo su quella dimensione dello spirito natalizio, sulle case addobbate, il pan di zenzero e l’avventura della consegna dei doni. Ha anche un finale quasi da canto di Natale con un regnante in camicia da notte che accompagna il giovane Natale (non ancora Babbo). Come si capisce non tutto è lineare e dentro questo film c’è più di un film solo. È evidente che sono più forti gli obiettivi da raggiungere (film d’avventura, sentimenti familiari, storia di liberazione dalla dittatura, origine della tradizione dei doni, magia….) che la capacità di mettere tutto in armonia in un racconto coerente e fluido. Questo nonostante sia stata scelta una cornice metanarrativa, cioè tutta la storia è il racconto che una donna (Maggie Smith) fa a dei bambini, cosa che aiuta a mettere insieme i vari pezzi.