Un autre monde, la recensione | Venezia 78

Un autre monde di Stéphane Brizé è tutto ciò che ci si aspetta dal suo cinema sociale, forse meno forte dei precedenti ma comunque un ottimo film

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Un autre monde, la recensione | Venezia 78

Dopo La legge del mercato e In guerra, Stéphane Brizé conclude con Un autre monde la sua trilogia sul mondo del lavoro. Nell’arco di questi tre film ha esplorato in modo pungente le contraddizioni tra il freddo mondo del mercato e il desiderio dei singoli di mantenere la propria umanità e la propria integrità: con Un autre monde Brizéconferma, in modo definitivo, l’eleganza e l’intelligenza del suo cinema sociale.

Non si toccano qui le vette registiche e di scrittura usate per raccontare la lotta sindacale di In guerra, ma Un autre monde rimane comunque la buona conclusione di un percorso coerente, definito. Perché questo è esattamente un film di Brizé per come ce lo si aspetta (in positivo): costruito tantissimo sulla recitazione, con dialoghi estremamente naturali e fluidi, raccontato nell’interno degli ambienti di lavoro e con un modo di osservare il protagonista insistente, quasi a volerlo punzecchiare, alla ricerca di un punto di rottura emotivo che arriverà soltanto una volta.

Vincent Lindon è qui, come nei precedenti, il suo attore protagonista. Stavolta si trova però dall’altra parte della barricata perché, dopo aver vestito i panni della guardia giurata prima e del sindacalista dopo, ora è negli eleganti abiti del manager di una grande azienda, Philippe Lemesle. Paradossalmente, il conflitto è sempre lo stesso ma a parti invertite: la sua azienda deve infatti attuare un ingente piano di licenziamento e Philippe si ritrova a dover scegliere tra la carriera e la difesa dei diritti di altri lavoratori. In ballo c’è un’idea più grande di umanità, che deve passare attraverso una radicale presa di posizione (appunto “l’altro mondo” del titolo) e che investe di riflesso anche la sfera privata.

Lindon si riconferma un interprete perfetto, ed è ormai impossibile dissociarlo da Brizé. Riesce sempre infatti a riassumere nel suo sguardo gelido, nelle sue minime espressioni facciali o nella sua irruenza discorsiva (si arrabbia sempre tantissimo!) la frustrazione del suo personaggio. Brizé gli sta letteralmente addosso e il film è totalmente retto dalla sua verve. Tuttavia Un autre monde è anche un film dove la scrittura è fondamentale, perché proprio il sottotesto dietro i discorsi dei “potenti” (che fanno sempre passare le loro scelte come razionali, ed effettivamente a livello puramente economico lo sono anche) è esattamente ciò che fa percepire allo spettatore la banalità con cui il mondo del lavoro compie una sistemica svalutazione delle sue risorse umane.

Se tuttavia Un autre mondenon ha la stessa forza dei precedenti è perché affida un po’ troppo l’empatia a un monologo finale, con cui certamente non si potrà che concordare ma che non ha la stessa immediatezza che Brizé possiede quando racconta attraverso le azioni, le scelte prese in silenzio. Per tutto il resto Un autre monde è comunque un film validissimo, l’esempio lampante di un cinema impegnato ma mai retorico, che con un'apparente semplicità e una naturalezza quasi documentaria riesce sempre a lasciare il segno.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Un autre monde? Scrivetelo nei commenti!

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