Un anno difficile, la recensione

Con una coppia di protagonisti da commedia all'italiana e un approccio satirico verso tutti, un anno difficile è lucido e divertente

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La nostra recensione de Un anno difficile, presentato al Torino Film Festival e al cinema dal 30 novembre

Della commedia all'italiana, a cui per Un anno difficile Olivier Nakache e Éric Toledano si ispirano fin dal titolo, il loro nuovo film riprende soprattutto il mettere al centro dei poveracci, tanto sprovveduti quanto amabili malgrado tutto, da non guardare mai con un pietismo distante. Qui sono Albert e Bruno (Pio Marmaï e Jonathan Cohen) due uomini che stanno accumulando sempre più debiti e faticano a risanarli. Quando si recano a un ritrovo di eco-attivisti solo per scroccare un po' di cibo e sentono un discorso sul surriscaldamento globale della loro guida, una ragazza dal nome in codice "Cactus", Bruno esclama: "Ma tanto possiamo usare il condizionatore". Una affermazione totalmente ingenua che non viene però demonizzata dai registi, che assumono il punto di vista dei due protagonisti e rivolgono tutta la loro ironia verso il contesto che li sta attorno.

Si inizia con un ralenti beffardo sulle folle che assaltano i negozi durante il Black Friday, per poi mettere in luce uno Stato, un apparato giudiziario e banche sempre fredde e non curanti dei problemi dei più poveri. Nakache e Toledano sembrano proseguire l'intento di denuncia del loro precedente The Specials, ma qui fanno un passo ulteriore, perché in Un anno difficile tutto vira in satira, rivolta soprattutto agli attivisti al centro delle vicende. Albert e Bruno decidono di unirsi al gruppo e partecipare alle loro iniziative, spinti dalla possibilità di sgraffiare qualcosa, nonché della progressiva infatuazione del primo verso Cactus. La prospettiva distorta dei due protagonisti fa emergere dunque molte delle contraddizioni della protesta, tra cibi scaduti e riunioni fatte seduti per terra, e persone così convinte dai propri ideali da tralasciare tutto il resto. Così soprattutto appare la ragazza, che non accetta un regalo né le avances di Albert, perché concentrata sul desiderio di salvare il mondo. Lei è l'oggetto dello sberleffo per come è chiusa in se stessa, mentre invece le simpatie sono sempre per i due protagonisti, che più fanno errori, più commettono scorrettezze, più il pubblico è spinto a empatizzare con loro. Un anno difficile parte dunque da una posizione scomoda per portare avanti le istanze sul cambiamento climatico, evitando di diventare un'opera di propaganda o celebrativa, ma al contrario usando l'arma della commedia per fornire un lucido ritratto dell'attualità.

Un approccio inconsueto che stride in certi punti con la struttura complessiva dell'operazione, che ricorre talvolta a espedienti comici più standard (fraintendimenti linguistici, avances improbabili) e a personaggi di contorno che rimangono macchietta (Mathieu Amalric, nel ruolo di un guru che non sa resistere al gioco d'azzardo). Ma a convincere è poi come l'intreccio del film non propone una classica parabola di due figure prima estranee al microcosmo in cui entrano e in cui poi vengono mano a mano integrate. Un anno difficile preferisce invece tenere ferme le posizioni iniziali e, anche quando sfocia in una chiara celebrazione dell'attivismo, la sua scena finale rimarcherà come ai registi più che del destino del Pianeta interessa quello dei protagonisti.

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