Un anno difficile, la recensione
Con una coppia di protagonisti da commedia all'italiana e un approccio satirico verso tutti, un anno difficile è lucido e divertente
La nostra recensione de Un anno difficile, presentato al Torino Film Festival e al cinema dal 30 novembre
Si inizia con un ralenti beffardo sulle folle che assaltano i negozi durante il Black Friday, per poi mettere in luce uno Stato, un apparato giudiziario e banche sempre fredde e non curanti dei problemi dei più poveri. Nakache e Toledano sembrano proseguire l'intento di denuncia del loro precedente The Specials, ma qui fanno un passo ulteriore, perché in Un anno difficile tutto vira in satira, rivolta soprattutto agli attivisti al centro delle vicende. Albert e Bruno decidono di unirsi al gruppo e partecipare alle loro iniziative, spinti dalla possibilità di sgraffiare qualcosa, nonché della progressiva infatuazione del primo verso Cactus. La prospettiva distorta dei due protagonisti fa emergere dunque molte delle contraddizioni della protesta, tra cibi scaduti e riunioni fatte seduti per terra, e persone così convinte dai propri ideali da tralasciare tutto il resto. Così soprattutto appare la ragazza, che non accetta un regalo né le avances di Albert, perché concentrata sul desiderio di salvare il mondo. Lei è l'oggetto dello sberleffo per come è chiusa in se stessa, mentre invece le simpatie sono sempre per i due protagonisti, che più fanno errori, più commettono scorrettezze, più il pubblico è spinto a empatizzare con loro. Un anno difficile parte dunque da una posizione scomoda per portare avanti le istanze sul cambiamento climatico, evitando di diventare un'opera di propaganda o celebrativa, ma al contrario usando l'arma della commedia per fornire un lucido ritratto dell'attualità.