Un altro ferragosto, la recensione

Non c'è solo il tempo che passa per i personaggi di Un altro ferragosto nel film ma anche quello che passa per lo stile dei suoi autori

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

La recensione di Un altro ferragosto di Paolo Virzì, in uscita in sala il 7 marzo

Questa volta parlare del paese, delle sue divisioni, dei suoi cambiamenti e delle idee vecchie e nuove che lo attraversano mediante le passioni e paturnie di un gruppo di personaggi è più un’impellenza che una missione. Un altro ferragosto è obbligato dall’essere il sequel di Ferie d’agosto, film del 1996 che raccontava la contrapposizione antropologica di due famiglie sovrapponendola alle nuove contrapposizioni politiche con cui l’Italia era uscita dalla prima repubblica. Stavolta la sensazione è che i molti personaggi (in linea di massima gli stessi interpretati dagli stessi attori) e la maniera in cui la vita fiacchi qualsiasi passione e qualsiasi cosa buona possa esistere nelle vite di ognuno, siano l’obiettivo del racconto e che la rappresentazione dei movimenti e le idee di questo momento storico siano lo sfondo. Lo capiamo quando l’amore tenero di due personaggi è affiancato alle polemiche sempre uguali degli altri che parlano di fascismo e antifascismo senza ascoltarsi.

Un altro ferragosto non finge di aver dimenticato il primo film, anzi, inizia con una versione techno delle battute di quel film e continuamente ripropone estratti fugaci come ricordi di ognuno. Sono i corpi giovani di allora che metaforicamente guardano i corpi vecchi di oggi, i sogni e i problemi di allora rievocati per vedere come siano andati a sbattere oggi (ma è anche lo stile registico di Virzì di ieri contrapposto a quello completamente diverso di oggi). E questa che poteva facilmente essere la riproposizione di un tipo di cinema che (come sempre) appartiene al proprio tempo, invece diventa la dimostrazione di come scrittura di Francesco Bruni (che ha sceneggiato il film con Paolo e Carlo Virzì) e la regia dello stesso Virzì siano nel tempo cambiate, migliorate ed evolute. Sullo stesso canovaccio, con gli stessi interpreti e gli stessi personaggi lavorano in modi nuovi e addirittura alcuni dei nuovi innesti (Christian De Sica e Emanuela Fanelli) sono i personaggi migliori.

Emanuela Fanelli è una donna cinica che, classico espediente della scrittura di Bruni, sembra resistere a ogni cosa con una forza superiore a tutti, salvo poi crollare all’improvviso per qualcosa di piccolo svelando che quel che è avvenuto non gli è scivolato addosso ma l’ha assorbito (stavolta è per un filmaccio visto per caso); Christian De Sica invece ha forse il suo miglior ruolo a memoria, un personaggio finalmente diverso da quelli che gli vengono proposti, un vero classico della commedia italiana, il fanfarone trasformista, che finge di essere quello che non è, abile truffatore con velleità altolocate. De Sica non solo mostra una capacità di animare tutti intorno a lui, ma è anche al centro dei segmenti e delle trovate più divertenti.

E in questo film realmente sorprendente, così mesto, rassegnato e funereo, in cui la morte è ovunque e arriva per tutti devastando ogni cosa, sembra di vedere il negativo di A casa tutti bene di Gabriele Muccino, altro film familiare isolano con cast corale (lì legati tutti insieme da pianisequenza. qui con un grande uso della profondità di campo e dei diversi piani). Solo che mentre a Muccino interessano proprio le persone e dire qualcosa sulla nostra umanità tramite loro, Un altro ferragosto racconta i suoi tipi umani, così ben scritti e così terribilmente umani mai stereotipi ma sempre prototipi, come espressione della popolazione, per riflettere sul paese. In entrambi i casi l’Italia, vista tramite la famiglia, è un posto di violenza e prevaricazione.

Continua a leggere su BadTaste