Twin Peaks 2x10 "Dispute Between Brothers" (Discussione tra fratelli): la recensione

Twin Peaks cerca di ripartire dopo la conclusione del principale arco narrativo, ma è solo l'inizio della fase calante dello show

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Meglio esser chiari fin da subito: finale a parte, da qui in avanti non ci sarà molto da dire su Twin Peaks. Fino ad ora abbiamo avuto gioco facile, e speriamo di esserci riusciti, nell'analizzare i diversi episodi della prima e seconda stagione intervallando il riepilogo degli eventi con delle riflessioni e analisi sulla serie della ABC. D'ora in avanti sarà più difficile. Con il precedente episodio si esaurisce la scia di eventi tracciata a partire dello svelamento dell'assassino di Laura Palmer e, conclusa quella, è difficile riavviare il motore ingolfato della narrazione. Lo spostamento della programmazione al sabato, le pressioni della ABC, l'allontanamento di David Lynch, che tornerà solo nel finale, il generale calo qualitativo delle storyline diventano una zavorra troppo pesante per la serie.

E il cambiamento, piuttosto traumatico in effetti, arriva fin dal decimo episodio, intitolato Dispute Between Brothers. Si inizia con una chiusura ideale e non solo della vicenda di Leland, un funerale nel quale la città cerca di esorcizzare una volta per tutte la catena di omicidi, forse l'ultima occasione per Sarah di trovare pace. Nel momento in cui la missione è completa e tutto è compiuto, Cooper si appresta a lasciare la città ma, colpo di scena, si trova indagato per aver sconfinato durante il salvataggio di Audrey. Mentre Cooper cerca di gestire questa nuova tegola piovutagli sulla testa, arriva il ritorno di fiamma di Jean Reanult, deciso a vendicarsi ricorrendo a Hank.

Come regola generale, le risposte non sono mai affascinanti quanto le domande, e ciò che è accaduto a Twin Peaks è molto interessante. Ottenere la risposta alla domanda "chi ha ucciso Laura Palmer?" sembra tutto ciò che si può chiedere ad una serie come questa, e invece, come era accaduto molti anni prima con Il prigioniero, e come sarebbe accaduto anni dopo con Lost, il senso di chiusura non è mai bello quanto la tensione che ha generato in precedenza. Crediamo di aver bisogno di risposte, e ogni narrazione compiuta in fondo stabilisce con noi un patto in cui noi offriamo fiducia e coinvolgimento, e dall'altra parte ci aspettiamo che quella fiducia venga ripagata.

Ma non illudiamoci, nulla sarà mai bello quanto il piacere del mistero, quanto il senso di meraviglia quasi infantile – inteso positivamente – che proviamo nel non sapere cosa accadrà, nell'ignorare il trucco dietro il numero di magia. Lynch, da grande conoscitore del pubblico, lo sapeva e voleva ritardare l'informazione il più possibile, ma così non fu. Lost per certi versi apprendeva la lezione, e stabiliva un principio fondamentale: ogni risposta deve allargare il cerchio delle domande, che devono essere più interessanti delle precedenti (le domande, si badi bene, non le risposte). La scoperta della botola deve lasciare il posto al tentativo di aprirla, e quindi a ciò che si nasconde dentro, e ancora al codice da inserire prima della scadenza del conto alla rovescia, e quindi alla mitologia della Dharma, ecc...

Un meccanismo perfetto? Decisamente no, ma non è affatto il caso di aprire una parentesi su Lost. Tornando a Twin Peaks, ci troviamo di fronte ad un prototipo di narrazione che in qualche modo inciampa e fatica a rimettersi in piedi. Il ricambio delle storyline non è immediato, e anche un primo cenno alla Loggia Nera fatto nel finale di puntata non colpisce come dovrebbe.

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