Twin Peaks 1x03 "Zen, or the Skill to Catch a Killer" (Lo Zen, oppure l'abilità di catturare un killer): la recensione

Ancora David Lynch alla regia: il terzo episodio di Twin Peaks, uno dei migliori di sempre per la serie, contiene tra le immagini più iconiche dello show

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Spoiler Alert
Twin Peaks 1x03 "Zen, or the Skill to Catch a Killer" (Lo Zen, oppure l'abilità di catturare un killer): la recensione

Per certi versi Zen, or the Skill to Catch a Killer è il miglior episodio in assoluto di Twin Peaks. Certamente è tra quelli che contengono i momenti più iconici. Ancora una volta non è il valore della storia a dare forma al mistero, in fondo si tratta della più banale caccia all'assassino, con tutti gli orpelli narrativi e i cliffhanger che questa comporta. David Lynch, che torna ancora alla regia, dà corpo alle sensazioni, costruisce un flusso di coscienza che sbatte tra le pareti di una storia normale solo in apparenza. Quando si libera di quelle catene e si lascia andare al puro piacere del momento, diventa qualcosa di meraviglioso, non necessariamente qualcosa che abbia un senso strutturale rispetto all'intreccio, ma un intreccio che, viceversa, può trovare respiro e senso in quei momenti.

Through the darkness of future past
The magician longs to see.
One chants out between two worlds.
Fire walk with me.

I personaggi danzano su pavimenti dai motivi indimenticabili, scacchiere e linee spezzate che li raccolgono e intrappolano. Non è ancora la Loggia Nera, ma il suo miraggio più puro e affascinante. Audrey Horne, dopo una breve conversazione con Donna alla Double R Diner, si lascia andare ad una danza sensuale, lenta, liberatoria, svincolata da tutto il resto. Tra le "danze" dell'episodio impossibile non ricordare anche quella, triste e quasi patetica, di Leland con la foto della figlia. Tutto è possibile perché le regole, anche quella di una storia, vengono scritte e riscritte. È come se, in un momento come questo, o in altri più grotteschi e ridicoli, l'intreccio si strappasse lasciando filtrare ciò che non è necessario ma che in quel momento diventa il centro di tutto.

Ci si può davvero perdere piacevolmente in momenti come questi, o come quelli che vedono Dale Cooper condurre gli altri agenti nel bosco, tra riferimenti al Tibet e assurdi metodi d'indagine. Quindi la misteriosa J da trovare, e con cui Laura si sarebbe vista la notte della morte, e i lanci di sassi, le bottiglie da infrangere, il tutto tra il grottesco e l'improbabile, il tutto perseguito con una precisione e una godibilità che non hanno perso oggi nulla del loro valore. In ogni caso il metodo Zen rimette ancora in gioco Leo Johnson, sempre più sospetto e pericoloso. La serie ne approfitta per introdurre anche il personaggio di Albert Rosenfield, altra new entry in città dopo Cooper.

Veniamo da subito colpiti dall'atteggiamento dell'uomo, diametralmente opposto a quello conciliante e gentile del suo collega. Albert è arrogante e cinico. Lo è, come tutti gli altri personaggi, fino alle estreme conseguenze, senza mezze misure, qualcosa che lo porta a fare il giro completo e a risultare, a modo suo, quasi (!) simpatico. Albert ci accompagnerà per tutta la serie, e riserverà anche qualche sorpresa circa la sua caratterizzazione. In conclusione sarà difficile non amarlo. Il suo interprete Miguel Ferrer è scomparso poche settimane fa, il personaggio tornerà nella nuova stagione.

Infine, la Loggia Nera. Non la conosceremo con questo nome per molto tempo, per adesso rimane la sala dalle tende rosse in cui tutto è possibile. La cantilena sopra riportata introduce l'incubo di Cooper, e dà un nome ai nostri incubi: Bob. A svelarlo è Mike, un uomo con un braccio solo. Singolare la coincidenza nel ritrovare altri due Mike e Bob dopo gli amici di Laura. Un cerchio di candele (le stesse mostrate nel finale della versione "chiusa" del pilot, ma magari torneremo più avanti su questo) si spegne, e quando apriamo gli occhi siamo nella sala rossa insieme a un Dale Cooper invecchiato.

Da questo particolare possiamo supporre che l'ambiente viva in uno stato diverso rispetto al normale scorrere del tempo. Cooper in quel momento è la coscienza del presente nell'uomo che sarà in futuro. Il fantasma, o forse solo il ricordo corrotto, di Laura Palmer (ma è lei?) è presente, e gli sussurra all'orecchio il nome del suo assassino. In questa prigione arredata con maniacale attenzione per i pochi dettagli riconoscibili (poche poltrone, una statua, due lampade), un nano con un timbro di voce distorto – anch'esso fuori dal normale svolgersi del tempo, come se si muovesse da un futuro che già conosce (darkness of future past) – informa Cooper in modo sibillino dello svolgersi di eventi che ancora devono accadere. La scrittura di Twin Peaks introduce così un elemento di fatalismo e ineluttabilità degli eventi che permea l'intreccio.

Il nano ci parla di una cugina simile a Laura, di molti segreti da scoprire, di un luogo (di morte?) dove c'è la musica e la danza. La risposta, terrificante, è già nascosta in queste parole.

CORRELATO A TWIN PEAKS 1X03 RECENSIONE

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