Tutto Quello che Vuoi, la recensione

Nonostante uno lo spunto migliore dell'anno, Tutto Quello Che Vuoi esaurisce presto le idee e uccide la sceneggiatura con una messa in scena troppo sciatta

Critico e giornalista cinematografico


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C’è l’idea che la poesia sia qualcosa di devastante al centro di Tutto Quello Che Vuoi, che sia l’arma dei sentimenti più incontrollabili invece che di quelli più soffici ed elevati, il fucile del guerriero invece del ventaglio della signorina accaldata. Quest’idea più che essere espressa in un film che invece si presenta come lieve e delicato, è implicita nell’elemento più forte e potente di tutta la messa in scena: una stanza. Il poeta ormai anziano e dalla lucidità parecchio offuscata dalla vecchiaia, vive in una casa di ricordi ed è accudito, inizialmente malvolentieri, da un ragazzo pigro, ignorante e prevenuto. Tuttavia anche su quest’animale trasteverino, tutto videogame di calcio e botte per strada, e sui suoi amici la suddetta stanza ha un impatto devastante che mette in moto gli eventi.

Si tratta dello studio del poeta, ormai in disuso e dismesso, un ammasso di ricordi sulle cui pareti sono incise centinaia di frasi e parole, ricordi e brani poetici. Sono incisioni e scritte su tutte le quattro mura, su ogni centimetro lasciato libero dal mobilio, realizzate tutte insieme dallo stesso poeta il giorno della morte della moglie. Reclusosi in quella stanza ha consumato l’ultimo atto della sua vita da poeta, una rabbiosa rievocazione di ricordi e momenti della vita insieme alla moglie.
È una trovata fortissima che sorprende lo spettatore, ammutolito dalla brutalità del sentimento che può aver animato un simile atto, tanto quanto i ragazzi quando vi entrano. Loro, in più, troveranno tra alcune di quelle parole e ricordi indizi di qualcosa che è stato sotterrato da qualche parte durante la guerra. Un tesoro verso il quale si faranno accompagnare dall’anziano poeta in una gita parecchio fuori porta, durante la quale non saranno più 4 ragazzi e un anziano, dei badanti e un demente, ma solo 5 uomini che pisciano uno accanto all’altro.

Si può capire come mai Francesco Bruni, sceneggiatore di buona parte del miglior cinema italiano degli ultimi 25 anni, abbia scelto questa storia dal bacino delle molte che ha scritto negli ultimi anni per diventare il suo terzo film dopo Scialla! e il più deludente Noi 4. L’impatto è potentissimo e lo svolgimento ha potenzialità appassionanti, il risultato però non sembra a livello delle premesse, non sembra cioè in grado di lanciare al massimo la scrittura, che, banale a dirsi, rimane la parte che funziona di più Tutto Quello Che Vuoi.
Non la aiuta di certo la recitazione dei protagonisti che, con l’eccezione di Emanuele Propizio (da tempo uno dei migliori della sua generazione), non sono in grado di reggere le proprie scene, specie quando si trovano insieme, privi di una guida più esperta che dia ritmo e regoli i tempi delle interazioni. Bruni era stato bravissimo con l’esordiente Scicchitano in Scialla! ma qui decisamente non ripete l’impresa. Anzi!

La claudicante recitazione affossa gran parte di un film che non riesce a supplire con una messa in scena creativa. Bruni non è mai stato regista di grande sintesi visiva e, superato l’impatto con la stanza che scatena gli eventi, il resto del film si appoggia molto ai dialoghi (da sempre il suo terreno d’eccellenza) e quasi per nulla alle immagini per trovare la tenerezza dei 4 cretini più un anziano con un passato ingombrante e invadente alle spalle in libera uscita. È evidente che ci sia una grandissima simpatia per i peggiori, spesso creature degne se non proprio meritevoli di grandissimo affetto per Bruni, ma è una fatica seguire la storia e innamorarsi dei personaggi in un film così sciatto che sembra addormentare il proprio intreccio e quietare le proprie premesse stordenti.

Non sfugge alla sciatteria generale nemmeno il vero protagonista, il regista Giuliano Montaldo, qui attore dall’indubbia simpatia istintiva e dalla sorprendente capacità di influenzare la storia con la propria presenza, ma privo della continuità, della forza e della tenacia attoriale che un ruolo simile necessitava. Dopo il primo impatto positivo, il suo poeta dalla scarsa lucidità ma dai sorprendenti lampi, è ripetitivo, stanco e molto poco intrigante, manca totalmente della forza e dei cambi di ritmo che invece la sceneggiatura gli servirebbe su un piatto d’argento. Come comprimario sarebbe stato perfetto, come protagonista annaspa assieme agli altri.

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