Tutto può cambiare, la recensione

John Carney torna alla musica. Tutto può cambiare piega la solita storia di seconda occasione americana e tira fuori un feel good movie tutto-Ruffalo

Critico e giornalista cinematografico


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Può un attore solo creare un centro gravitazionale attorno a sè così forte che tutti gli altri gli girano furiosamente intorno, riuscendo così a dare senso e movimento ad un film praticamente da solo? È quello che fa Mark Ruffalo in Tutto può cambiare.
Con una sceneggiatura di provato funzionamento che non gira lontano dal suo precedente Once, John Carney interpreta il più classico degli uomini derelitti dalla vita, pronto a prendere per le corna la sua seconda occasione che gli arriva sotto forma di una cantate/autrice musicale di cui nessuno sospetta il talento, cresciuta all'ombra del fidanzato ormai artista affermato che l'ha mollata. Una sua performance risveglia il demone del vecchio discografico appassito, riattizza il fuoco per la musica e la voglia di fare qualcosa.

Non ci fosse stato Ruffalo con il suo fare arruffato, casinista, esaltato e solo a tratti malinconico Tutto può cambiare avrebbe avuto decisamente un altro peso specifico, avrebbe potuto aspirare al massimo allo statuto di "carineria" cui era giunto non senza meriti e fatica Once, invece con la forza che gli inietta il suo personaggio diventa una parabola più credibile, una addirittura capace di convincere dell'onestà delle sue banalità. C'è qualcosa nei meandri dell'esaltazione del suo povero ubriaco come in quella del suo uomo ripulito che profuma di realismo, di credibilità a tutti i costi, qualcosa nel suo modo di portare a termine ogni interazione che spinge lo spettatore a seguirlo ovunque, anche nei terreni più consueti e di solito meno credibili.
La magia del viaggiare per la città con la musica nelle orecchie, infilarsi in una discoteca per essere liberi di scatenarsi, ma sempre assecondando la musica dei propri auricolari, ascoltare un brano eseguito per voce e chitarra e immaginarsi un arrangiamento che lo migliori, ma anche soltanto reggere un microfono ambientale per registrare una performance (e non parlo di quando imbraccia un basso), tutti i luoghi comuni dell'esaltazione dal musica indie-pop sono riflessi da Ruffalo con l'allure e il desiderio di desiderare che meritano. E così facendo diventa credibile ogni cosa, anche Keira Knightley squattrinata artista dalla grande ispirazione.

Inevitabile allora che questa storia di redenzione e di adesione ad un mondo di veri valori (no alle case discografiche ma la distribuzione libera, no ai compromessi ma si al rispetto per la musica e via dicendo) nonostante diverse implausibilità sia tecniche che di trama (registrare all'aperto in un take solo, far suonare musicisti improvvisati, essere assunti come niente) scorra come un fiume impetuoso, alimentato dalla capacità non indifferente che Carney ha di mescolare il tenero con l'hipster, il sentimentale con l'ottimista. Non a caso in Tutto può cambiare la musica non fa da collante, la musica è uno degli elementi incollati, a differenza che in Once, non è quella ad aiutare il film ma il film ad aiutarci a farcela piacere.
Perchè alla fine dei conti, nonostante non manchi nemmeno un luogo comune dei film sulla musica, è anche vero che Tutto può cambiare non vuole sembrare la solita commedia, mette in piedi una struttura almeno nella prima parte temporalmente decostruita, non segue gli svolgimenti canonici e punta ad un feel good che sa centrare senza infastidire. E non è poco.

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