Tutto chiede salvezza, la recensione

A metà strada perfetta tra lo stile classico RAI e le esigenze internazionali di Netflix, Tutto chiede salvezza è cinema post-classico

Critico e giornalista cinematografico


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Tutto chiede salvezza, la recensione di tutti gli episodi della serie disponibile su Netflix

Chi c’è nel punto esatto di incontro tra la RAI migliore e Netflix? Francesco Bruni. Sceneggiatore italiano tra i più versatili (sia il cinema d’autore, che quello popolare, sia Virzì che la mano dietro il successo di Montalbano) e poi diventato anche regista delle proprie sceneggiature, ora ha scritto e diretto la sua prima serie, Tutto chiede salvezza. È l’adattamento dell’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli e ha un concept da premium tv, un ragazzo come tanti (più o meno) subisce un TSO e deve passare 7 giorni in un ospedale psichiatrico, ogni puntata è una giornata, ogni giornata un’esplorazione della fragilità umana come risposta a tutto.

Un protagonista che assume il ruolo di Virgilio nel mondo dei problemi mentali

Quest’ultima potrebbe essere benissimo la tagline della carriera di Bruni, nei cui film spesso i personaggi più forti sono i più fragili, cioè quelli la cui sensibilità dona una forza maggiore che li eleva rispetto agli altri (più spavaldi ma poi più vili e piccini). Qui nonostante lo spunto non sia suo ma di Daniele Mencarelli, quest’idea è portata all’apoteosi. Nella prima puntata, quando Daniele viene ricoverato, semplicemente si sveglia in un posto che non riconosce, non ricorda niente di quel che è avvenuto e l’ha portato lì, quindi dà di matto. Non capisce perché gli abbiano fatto questo né come ne uscirà. Gli eventi saranno ricostruiti tra il primo e il secondo giorno, e sono sprazzi di memoria di violenza contro i genitori, scatti d’ira alimentati da droghe e problemi che (capiamo lentamente) ci sono sempre stati e ora sono fuori controllo. Il gancio narrativo forte è che quando non ha questi scatti Daniele sta bene, è un ragazzo come tanti, apparentemente una persona sana tra matti (non tutti) e quindi il Virgilio perfetto per gli spettatori dentro quel mondo.

Molto di questo racconto punta al convenzionale, si crea una specie di famiglia interna all’ospedale, una banda di reietti che trovano negli altri un appoggio, e poi amori interni all’ospedale, storie notturne e storie diurne, genitori che non capiscono e altri molto amorevoli, tragedie e anche la morte, tutto quello a cui insomma la serialità classica ci ha abituato (incluso l'uso di caratteristi come Ricky Memphis) e a cui Bruni infonde il suo respiro, quello del cinema italiano post-classico, che sa tutto e conosce tutto della commedia all’italiana e proprio stando sulle spalle dei giganti racconta il presente. Nel caso specifico del presente racconta, come spesso ha fatto negli ultimi anni, la condizione dei ragazzi, i problemi e la difficoltà a vivere.

Un progetto che si adegua alle esigenze di Netflix

Già l’uso del mistero nelle prime puntate però fa capire che Tutto chiede salvezza lavora anche per dare un colpo alla botte e adeguarsi alla cornice in cui è presentato (Netflix): è un unico romanzone, una serie autoconclusiva in cui tutte le puntate sono collegate dall’arco narrativo di Daniele che mentre smaltisce e inizia un percorso di soluzione dei suoi problemi mentali, risolve anche altri aspetti personali non tramite medici o medicinali ma tramite il contatto con qualcuno che sta peggio di lui e con cui attuare uno scambio umano più reale del reale. 

Del resto anche la ragazza attrice famosa con problemi gravi di autolesionismo che incontra (si conoscevano al liceo ma lei non se l’è mai filato) e con cui cerca di allacciare un rapporto più serio tra insulti, rifiuti e alterigia, è la più classica delle linee romantiche che Tutto chiede salvezza fa fruttare molto bene. A lungo sembra lavorare sui soliti contrasti (chi ha molto in realtà è povero dentro, chi lavora d’apparenza fatica a mostrare la propria sostanza) ma poi anche grazie ad un‘eccezionale ambiguità recitativa di Fotinì Peluso (vero traino della serie, quando è in scena si guarda solo lei, quando non c'è ci si chiede dove sia), nelle ultimissime puntate sorprende non cambiando radicalmente come sarebbe accaduto nei racconti più pigri e banali, ma anzi tirando fuori proprio da quel carattere lì, così ruvido, sulla difensiva e snob, una fragilità che non nega tutte le caratteristiche che conoscevamo. Nessuno cambia in 7 giorni ma qualcuno può aprire una parte di sé che teneva nascosta. Facile a dirsi raro a vedersi in un film o una serie.

Nonostante quindi Tutto chiede salvezza non sia priva di diverse cadute di stile, momenti gestiti non benissimo e squilibri di racconto che possono infastidire (alcune visioni oniriche non funzionano proprio come quella musicale della nave, una situazione di rabbia e violenza non gira per il verso giusto e alcuni momenti più rarefatti cadono nel vuoto), portando poi come conseguenza anche a mettere sullo schermo sentimenti che a loro volta sono dozzinali, poi c’è sempre un altro momento che controbilancia, proponendo spunti se non proprio momenti di recitazione fuori dal comune, che rimettono la barra a posto.

È ad esempio il caso delle terribili notti di Daniele (ogni puntata essendo una giornata è composta anche dalla nottata), in cui non riesce a dormire e ogni volta non ottiene il sonnifero che chiede. Vaga nell’ospedale, non sa che fare, vede le persone come non sono di giorno (il professore ha proprio due personalità una di giorno e una di notte) o quelle che di giorno non ci sono, ed è sempre un momento di bilanci, di fughe, di cose che non andrebbero fatte, urla e gente che arriva in stato pietoso. Tutto mentre viene tenuto sveglio dalle ossessioni per quello che ha fatto, come se i peccati da espiare lo tenessero sveglio, tormentandolo in un’eterna notte del pentimento di Don Rodrigo che non finisce fino a che non trova qualcuno che lo accetti.

È in questa maniera, con questi continui aggiustamenti, che prende forma un racconto molto semplice, molto popolare e molto classico, in cui è facile ritrovare gli elementi di appeal più basilari della narrazione e i generi più tipici. Del resto nulla è più amato dalla serialità degli ospedali. Ma prende forma anche una versione di tutto questo colta e sofisticata, che se non brilla per sperimentazione registica e manualità, è anche vero che sa sempre come mettere in scena i momenti che contano e non sbaglia un primo piano o un’intenzione recitativa.

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