Tutti parlano di Jamie, la recensione

Il musical Tutti parlano di Jamie è diventato un film pieno di buoni sentimenti, stereotipi e canzoni accattivanti che celebrano la libertà di espressione

Condividi
Tutti parlano di Jamie, la recensione

La storia vera alla base di Tutti parlano di Jamie (Everybody's Talking About Jamie), adattamento dell'omonimo musical britannico distribuito su Amazon Prime Video, si è trasformata in un racconto all'insegna della positività e dell'accettazione della diversità non particolarmente incisiva, ma comunque piacevole e in grado di intrattenere.
A sostenere il progetto diretto da Jonathan Butterell, regista che compie il suo esordio cinematografico dopo essersi occupato dello spettacolo teatrale, è la semplicità e l'onestà con cui gli interpreti affrontano gli eventi al centro della trama, non privi di una certa drammaticità pur rimanendo sulla superficie di tutte le tematiche proposte.

Il protagonista è il sedicenne Jamie (Max Harwood) che vive a Sheffield e sogna di diventare una drag queen. Al suo fianco ci sono la madre Margaret (Sarah Lancashire), che ama incondizionamente il figlio a differenza dell'ex marito (Ralph Ineson) che è incapace di accettare il ragazzo, la grande amica Ray (Shobna Gulati), e la sua compagna di scuola Pritti Pasha (Lauren Patel). Il teenager inizia a trovare il coraggio di mostrare chi è veramente grazie al sostegno di queste tre donne, ognuna con caratteristiche e motivazioni diverse ma unite nel loro desiderio di aiutarlo a essere se stesso, che lo sostengono in vari modi: regalandogli le sue prime scarpe con il tacco o difendendolo dalle critiche a scuola. Jamie si ritrova infatti alle prese con i commenti taglienti del bullo Dean (Samuel Bottomley) e l'intransigente Miss Hedge (Sharon Horgan), insegnante caratterizzata da una mancanza di sensibilità e da una certa miope intolleranza.
Dopo aver deciso di presentarsi al ballo scolastico di fine anno in versione drag queen, Jamie fa inoltre la conoscenza di Hugo Battersby (Richard E. Grant), il proprietario di un negozio che in passato si esibiva con il nome d'arte di Loco Chanelle, prima di subire una devastante perdita personale a causa dell'AIDS, che aiuta il teenager a esprimersi liberamente trovando la forza di ribellarsi alle convinzioni.
L'evoluzione del ragazzo non è però priva di ostacoli e, sfruttando il ritmo delle canzoni composte da Tom MacRae e Dan Gillespie Sells, gli spettatori vengono trascinati in un mondo fatto di glitter e forza d'animo che conduce a un epilogo fin troppo positivo e privo d'ombre che trasmette un messaggio all'insegna dell'ottimismo, seppur tristemente poco realistico.

Le scarpe rosse indossate da Jamie lo portano infatti nella propria versione del Regno di Oz e il suo percorso verso il ballo finale è all'insegna di prove di coraggio, delusioni, menzogne e una fin troppo generosa dose di buoni sentimenti.
La sceneggiatura affronta ogni situazione con affermazioni motivazionali e sentimentali, delineando tutti i personaggi secondari a grandi linee, senza mai approfondirne le motivazioni, e concentrandosi sul rapporto tra madre e figlio e l'importanza di accettare il prossimo senza pregiudizi. La grande quantità di stereotipi e cliché viene stemperata dalla dolcezza che anima l'intero racconto e rende difficile non fare il tifo per il protagonista, nonostante i suoi momenti criticabili, la comprensiva Pritti e l'incredibile figura materna che, pur sbagliando nel tentativo fallimentare di mediare l'insofferenza del padre nei confronti del figlio, non esita mai nel dimostrare il proprio amore.

Le canzoni del musical sono accattivanti seppur non memorabili, offrendo la giusta dose di pop e messaggi positivi, e le interpretazioni dei membri del cast sono soddisfacenti, sfruttando bene la freschezza dei giovani attori e l'esperienza di talenti indiscussi come Lancashire e Grant.
Butterell compie però l'errore di rimanere fin troppo fedele a una struttura teatrale e gli eventi si susseguono in modo eccessivamente rapido e a tratti deludente, come il passaggio in cui si racconta il passato di Battersby tramite un montaggio di scene del suo passato con l'espediente del video registrato su una videocassetta, facendo così solo intuire la portata del dramma vissuto durante la crisi legata all'AIDS e gli ostacoli affrontati dalla comunità LGBTQ+ in passato. Il mondo delle drag queen, inoltre, viene solo sfiorato per giustificare la lotta di Jamie nel suo tentativo di essere libero di esprimere la propria identità senza dover essere limitato dalla mentalità intollerante e ristretta che contraddistingue il bullo della scuola e il personaggio affidato a Sharon Horgan, di cui risulta davvero complicato comprendere le azioni. Apprezzabile, invece, la scelta di non mostrare nessun lato positivo nella figura paterna affidata a Ralph Ineson, lasciando ad alcuni flashback, purtroppo poco emozionanti a causa delle scelte compiute con il montaggio, il compito di far capire il trauma vissuto da bambino dal protagonista a causa della freddezza del padre.

Tutti parlano di Jamie, pur avendo molto difetti, risulta una visione piacevole e in grado di rivolgersi con semplicità e positività a un pubblico di adolescenti e al tempo stesso agli adulti, emozionando in più di un momento e convincendo con le performance del proprio cast. Max Harwood e Lauren Patel scaldano il cuore con la loro interpretazione di un'amicizia incrollabile nonostante i diversi background e gli obiettivi nella vita, e Sarah Lancashire è emozionante con il suo ritratto di una madre disposta a tutto pur di sostenere il figlio.
In modo quasi ironico considerando il messaggio alla base del progetto, all'adattamento del musical manca forse un pizzico di coraggio in più nel trovare una propria identità cinematografica e allontanarsi dalla dimensione teatrale a cui è legato, lasciando così soddisfatti solo in parte.

Continua a leggere su BadTaste