Tutti In Piedi, la recensione
Un finto di disabile e una vera disabile in una storia d'amore che più convenzionale non si può. Tutti In Piedi è per animi ripetitivi
Il protagonista è infatti interessato ad un’altra, una donna che come lui non è disabile ma che si occupa di disabili e che lo scambia per errore per un paraplegico avendolo visto su una sedia a rotelle. Lui cavalca l’equivoco e scopre che in realtà lei voleva fargli conoscere sua sorella, anch’essa paraplegica. Qui comincia il film, con un scapolaccio intrappolato in un equivoco, costretto per la prima volta a conoscere una donna davvero e sempre più conquistato, mentre comicamente tenta di fingersi disabile.
In una storia di tolleranza in cui una persona pessima e spietata scopre l’ampiezza del mondo dei disabili (mentre scopre l’ampiezza di quel che le donne possono essere al di là del solo sesso) in realtà c’è un universo estremamente conservatore quanto a vedute e rapporti tra uomini e donne. Uno che non teme di prendere in giro i travestiti canzonandone il vocione di nascosto, né di relegare le donne in una posizione di oggetto. Splendide, fantastiche, meravigliose, complesse, intelligenti e tutto quel che di meglio si può dire ma fuori dall’azione, su un piedistallo da guardare, il solito motore immobile.
E dire che la commedia romantica una volta era uno dei pochi modi in cui le attrici potevano avere ruoli di rilievo e il pubblico femminile poteva avere dei film a sé dedicati.