Tutti amano Jeanne, la recensione

Tutti amano Jeanne trova l’empatia solo a tratti, facendosi apprezzare molto di più per l’atmosfera sognante e naïf.

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La recensione di Tutti amano Jeanne, al cinema dal 22 settembre

Tutti amano Jeanne… ma Jeanne non ama sé stessa. L’esordio al lungometraggio di Céline Devaux è nel segno dell’ironia, o meglio di un sarcasmo affettuoso: quello con cui guarda la sua Jeanne (Blanche Gardin), una giovane donna che dopo un fallimento lavorativo e il suicidio della madre deve fare i conti, più di ogni altra cosa, con la sua stessa coscienza.

Personificata da un fantasmino disegnato (Devaux viene dall’animazione), la parte più duramente autocritica di Jeanne - tra gestacci e prese in giro - è infatti la colonna portante del film, uno strumento irrinunciabile per dare voce e profondità a un personaggio che, al contrario, quando visto nel mondo reale non esprime mai le sue emozioni e quasi fatica a parlare. In questo senso Tutti amano Jeanne è un film con un’idea di messa in scena originale e accattivante: tuttavia lo stratagemma animato assume su di sé forse fin troppo, privando l’attrice e la realtà filmica della prerogativa di raccontare Jeanne in modo diverso o quantomeno oppositivo.

Dopo il fallimento del suo progetto ecologico per ripulire gli oceani dalle microplastiche, da promettente “donna dell’anno” Jeanne si ritrova a dover ripagare i suoi debiti. L’unico bene che possiede è la casa della madre a Lisbona: un luogo abitato da fantasmi e dolori del passato in cui è ora costretta a tornare con il compito di svuotarla una volta per tutte per poi venderla. Ad animare questo quadretto semi-surrealista non è solo la sua coscienza ma anche il personaggio di Jean (Laurent Lafitte), un cleptomane ex-compagno delle medie che incontra durante il viaggio e che con la sua peculiare visione del mondo in qualche modo la aiuterà ad uscire dal suo guscio.

In questo panorama di personalità eccentriche ed evocazioni del passato tramite dettagli visivi e olfattivi (un profumo e una scarpa funzionano qui da madeleine proustiane), Céline Devaux lascia intravedere solo a tratti la sua poetica. L’illustrazione prende infatti quasi totalmente la scena, prendendosi tutta la responsabilità di raccontare quello che invece Jeanne nasconde dietro un’espressione da sfinge e occhiali scuri. Il gioco è inizialmente divertente ma alla lunga ripetitivo: vorremmo vedere di più della Jeanne reale, o meglio vedere come questa coscienza si rapporta al comportamento di Jeanne. E invece Jeanne stessa cammina e si aggira come un fantasma, ponendo un muro insormontabile tra lei, gli altri personaggi e lo spettatore. 

In una Lisbona anch’essa solamente evocata (vediamo soprattutto l’appartamento, il film potrebbe essere ambientato da tutt’altra parte e non cambierebbe quasi nulla), Tutti amano Jeanne trova l’empatia solo a tratti, facendosi apprezzare molto di più per l’atmosfera sognante e naïf, tra colori pastello e una malinconia romantica.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Tutti amano Jeanne? Scrivetelo nei commenti!

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