Tutta la vita davanti


Vita e frustrazioni in un call center romano, tra diritti negati e difficoltà private. Ennesima opera sul precariato, a cui non basta un regista come Paolo Virzì per uscire dalla mediocrità...

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Recensione a cura di ColinMckenzie

TitoloTutta la vita davantiRegiaPaolo VirzìCast

Isabella Ragonese, Sabrina Ferrilli, Elio Germano, Valerio Mastandrea, Massimo Ghini, Micaela Ramazzotti

Uscita28 marzo 2008

Ormai, rischia di diventare un rito. Parlare di precariato è ormai diventato uno dei temi più gettonati (forse, il più popolare) del cinema italiano. L'impressione, è che si entri in una sorta di preghiera collettiva, in cui parlando di un argomento (che può essere anche il Tibet o George W. Bush) si dà al pubblico l'occasione di sentirsi più buoni e di contribuire a risolvere il problema. Ovviamente, la realtà è ben diversa e in effetti l'impegno sociale, anche quando è sincero, serve più che altro per ottenere recensioni favorevoli sui giornali.

Curiosamente, in Tutta la vita davanti, c'è una scena in cui la protagonista si lamenta con un sindacalista sul fatto che a 'difendere' i precari ci siano sempre quelli con il culo parato. Che dire allora di chi fa i film su questo tema con Medusa (beninteso, la cito solo come major cinematografica, avrei fatto lo stesso discorso con Buena Vista o Warner) o non può neanche fare il nome dell'azienda (quella del Kirby) di cui parlava Michela Murgia nel suo libro Il mondo deve sapere?
 

Per chi interessa, piccolo aneddoto personale. Mi è capitato di discutere con l'autrice del libro, Michela Murgia, sulle ragioni del precariato. Lei sosteneva che fossero questioni prettamente contrattuali e di diritti, io (un po' più pessimista sulla natura umana) ritenevo che anche il fatto che milioni di giovani decidano di lavorare gratis (o praticamente gratis) per entrare in certi ambienti provochi una situazione generale di bassi stipendi e diritti negati, che peraltro colpisce soprattutto chi (non avendo una famiglia ricca alle spalle) certe scelte di 'beneficenza' non se le può permettere. D'altronde, se un supermercato vi dicesse che la spesa la potete fare gratis, andreste da quello che le cose ve le fa pagare? Il risultato è che ho scoperto che la Murgia (parole sue) in buona parte delle sue collaborazioni lavora gratis. E poi ci stupiamo che vince il capitalismo senza scrupoli?

Ma parliamo, finalmente, del discorso cinematografico, l'unico che ci interessa. Iniziamo dal difetto peggiore, la pessima voce off, sia per l'interpretazione sonora di Laura Morante (mediocre e sono di manica larga) che per l'idea stessa. Chi paragona un film del genere alle opere di Risi e Monicelli non solo bestemmia in generale, ma si scorda del lavoro di sceneggiatura pregevole che veniva fatto nelle loro pellicole, in cui i personaggi venivano descritti attraverso le loro azioni e non con una stucchevole voce off che dice cose banalissime.

Purtroppo, i difetti rimangono anche nella storia e nella costruzione dei personaggi. D'accordo, alcune scene vogliono essere chiaramente visionarie (che poi non ci riescano a sufficienza è un altro discorso), ma ci sono diversi errori di pressapochismo, che danno l'impressione che i realizzatori abbiano fatto ricerche svogliate. Uno per tutti: il personaggio di Massimo Ghini (uno dei più interessanti, ma che poteva essere approfondito anche maggiormente) ha ricevuto un'ingiunzione a non avvicinarsi a più di 200 metri dalla casa dell'ex moglie. Piccolo problema, non esiste nella legislazione italiana un provvedimento del genere e quindi temo che gli sceneggiatori abbiano visto troppi telefilm americani.

Per quanto riguarda gli altri interpreti, Sabrina Ferrilli sembra la parodia di Sophia Loren, mentre Elio Germano è una parodia e basta. E la protagonista? Isabella Ragonese non sembra francamente all'altezza di reggere un film sulle sue spalle, non aiutata in questo da una sceneggiatura che rende difficile fare il tifo per lei. Infatti, sarà anche una brillante studentessa di filosofia e si batte per i diritti delle persone, ma poi non si fa problemi ad evitare il suo ragazzo pur di non dirgli la verità. E (buco enorme di script) il fatto che delle sue parole abbiano delle conseguenze drammatiche è un problema che il personaggio non affronta minimamente.

Peccato, perché qualche spunto interessante c'è ancora, come quello citato all'inizio, così come una mancanza di manicheismo notevole. E Virzì è ancora in grado (se vuole) di creare personaggi tridimensionali, magari anche mostrandoci i loro corpi nudi e non preoccupandosi troppo se questo creerà problemi per i passaggi televisivi. Ma l'impressione è di un'occasione sprecata (mi sa che uso spesso questa espressione per il cinema italiano). E visti che diversi indizi fanno una prova, sembra ormai evidente che il notevole regista di Ovosodo e Ferie d'agosto sia un lontano parente di quello attuale...

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