Tutta colpa di Freud, la recensione

Torna il regista dei due Immaturi con una nuova commedia di altri Immaturi, sempre indecisi nella vita sentimentale e sempre incapaci di parlare sul serio di umanità...

Critico e giornalista cinematografico


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Se Luca Miniero, dopo Benvenuti al Sud/Nord, continua ad insistere nella rappresentazione di storie che girano intorno al contrasto insito nel nostro paese tra il popolo che abita il meridione e quello che abita il settentrione, il suo ex compagno di regia, Paolo Genovese, continua ad inseguire la sua di gallina dalle uova d'oro, ovvero Immaturi.

Dopo il primo e il secondo film dedicati all'umanità irrisolta, al campionario di persone che non sanno che fare della propria vita nonostante comincino ad avere un'età, ora Tutta colpa di Freud mette in scena uno psicanalista e le sue tre figlie, tutti in cerca di una personale risoluzione che inevitabilmente deve passare per l'amore (che commedia italiana sarebbe?) e che è vittima di nuovo della sostanziale immaturità di tutti, comprimari inclusi.

Una bibliotecaria che insegue amori fatui, una lesbica che, delusa dalle donne, vuole a tutti i costi provare l'amore eterosessuale, una 18enne innamorata di un 50enne che a sua volta promette di lasciare la moglie (ma che non ha il coraggio di farlo) e su tutti il padre psicanalista che non ha il coraggio di dichiararsi alla sconosciuta che guarda e brama ogni giorno.

C'è un po' tutto ma soprattutto non c'è niente in Tutta colpa di Freud, film che si prende molto tempo per raccontare tutte le sue storie intrecciate con egual impegno (120 minuti, molto per una commedia italiana e dai nomi visti nei titoli coda e assenti nel film o dalle parti esageratamente piccole di attori come Maurizio Mattioli si intuisce che il girato doveva essere anche di più) ma che non riesce mai a suonare sincero. Era del resto già il problema dei due Immaturi: mettere in scena moltissimi personaggi senza che nessuno suoni autentico, senza che nemmeno una delle molte problematiche o dei molti sentimenti espressi possa sembrare concreto, perchè tutto pare esistere solo in un universo fasullo, cinematografico nel senso deteriore del termine (cioè incapace di mettere una lente ed enfatizzare qualcosa di reale ma solo capace di inventare).

Il motivo per il quale nel film non c'è niente è perchè tutto scorre secondo il binario più usuale. Anche la comicità, che è la cosa più grave! Nonostante la ricerca di una sua originalità nel leggere la contemporaneità (la presenza della lesbica dall'incerta vita sessuale), Tutta colpa di Freud è la negazione stessa della lettura divergente e anzi converge in tutto e per tutto con ciò che è il sentire comune più banale e pigro, proponendo gag e situazioni che potrebbero essere partorite dall'impiegato con il più inetto senso dell'umorismo.
Altre commedie italiane dal medesimo budget e dal medesimo target, nei casi migliori, riescono a trovare uno spunto in un personaggio, un taglio particolare in una certa scena o addirittura si ritagliano una certa violenza verso determinate categorie. Fanno insomma delle scelte. Tutta colpa di Freud no, in questo senso sembra scritto da nessuno, partorito con un generatore automatico di situazioni, il cui tono è sottolineato con un'insistenza maldestra da un tappeto musicale costante.

Ed è un peccato perchè poi, una volta tanto, l'ambientazione e la fotografia parevano più curate del solito, tutti controluce e penombre in un centro di Roma che pare inedito tanto è favolistico, affascinante e calamitante.

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