True Detective: Night Country, la recensione del finale di stagione
Il finale di true Detective: Night Country annulla tutta la fiducia data alla serie, con una chiusura gravemente insoddisfacente
La recensione del finale di True Detective: Night Country, la quarta stagione della serie della HBO disponibile su Sky e in streaming su NOW
Purtroppo Issa López ha scelto con la sua regia la strada più difficile: quella di confrontarsi continuamente con la prima stagione. Non si contano i riferimenti, le easter egg e, nel caso dell’episodio finale, le citazioni dirette (trovate tutto riassunto qui). Lungo le prime cinque puntate si poteva sospendere l'incredulità accettando di venire strapazzati tra nostalgia, promesse future e la deriva horror un po’ stonata. C’è sempre il finale, dicevamo dando fiducia, per giustificare alcune scelte bizzarre.
Non è il tipico caso della montagna che ha partorito un topolino. È un topolino che si è finto montagna. Non basta ricordare che “il tempo è un cerchio piatto” per dare la stessa potenza filosofica, e di significato all’interno della vicenda, che aveva questa frase nella prima stagione. López fa riferimento a momenti potentissimi della prima stagione, come la chiusura sull’eterna lotta tra bene e male, con il cielo nero, ma con la luce che sta vincendo. Ritorna qui nel modo più banale: una lunga notte che finisce, un’aurora boreale.
Persino la soluzione dell’enigma è la più banale possibile, ampiamente prevedibile sin dal terzo episodio, non riesce a spiegare tutto ciò che interessa di più a chiunque abbia dato fiducia a questa stagione: il soprannaturale. L’ambiguità con cui chiude questa storia è una scelta codarda che lascia allo spettatore il compito di riempire i buchi.
Anche a livello tematico eravamo in territorio “La cosa” finiamo sullo stesso pensiero narrativo di Killers of the Flower Moon. Riappropriarsi della propria identità, trovare un nuovo rapporto con la propria terra, far fronte all’avidità dei bianchi che depredano andando a scavare nel terreno trovando qualcosa di antico. Il petrolio, nel film di Scorsese. Un microorganismo generico per salvare genericamente il mondo, in questo caso.
Il laboratorio segreto è come Carcosa. Uno spazio di morte in contatto con forze sovrannaturali. Una scena del crimine in cui le due detective si confrontano con i propri demoni. Se nella prima stagione di True Detective le due letture della risoluzione, cioè quella mistica e quella razionale, potevano convivere, qui non accade. La risoluzione del caso è invece così banale e assurda da non richiedere tutto il via-vai che c’è stato. Gli spiriti servono per colmare i buchi di trama.
Assurdo che un finale così sia stato approvato, girato e messo in onda. Bastava poco, un senso della misura, una riscrittura in più, per portare a casa una stagione ben focalizzata nell’atmosfera e nell’ambientazione, ma fuori fuoco sulle regole del mondo che ha costruito.
Così True Detective: Night Country finisce per assomigliare a ciò che fu The Cloverfield Paradox. Un prodotto pensato come indipendente da tutto (leggi qui), ma legato a forza con un altro franchise per traghettare l'audience e uscire dall'anonimato. Una brutta operazione commerciale che affatica, sommergendo di pretese, quella che poteva essere una buona miniserie serie soprannaturale e di genere. Ricordiamola come Night Country. Non come True Detective.