True Detective: Night Country, parte 2: la recensione

La seconda puntata di True Detective: Night Country si concentra di più sui personaggi mettendo forse troppo presto in pausa l'indagine

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Se la prima puntata di True Detective: Night Country era interamente dedicata a impostare l’interessante mistero, intrecciato tra passato e presente, questa seconda cerca di andare in profondità. È, di già, un episodio di attesa. Ci sono corpi da scongelare. Si aspetta. Chi è a conoscenza dei fatti si dà il tempo per reagire a quanto accaduto nella base di ricerca artica Tsalal. Dopo un prologo bizzarro e decisamente horror, ma molto slegato dal tono che segue, il filo conduttore della puntata diventano gli Iñupiat e il loro passato.

La cultura dei nativi dell’Alaska promette di essere un tassello importantissimo per trovare le ragioni di uno o più crimini. Nella città di Ennis, immersa in una lunga notte, le due detective e tutta la squadra di polizia dovranno imparare a conoscere i morti e il loro linguaggio. C’è chi ti consiglia, si dice ad un certo punto, e chi ti porta con sé. Un’ora di show dedicata ai simboli su cui svetta la spirale il cui significato è ancora misterioso e che già porta con sé una grande inquietudine mistica. 

I primi segnali preoccupanti rispetto alla tenuta della stagione vengono dall’incapacità di questa seconda puntata di True Detective di rendere interessanti le vite private di Liz Danvers, Angie Navarro, Peter e Hank Prior al pari del caso principale. Solite esistenze disastrate, soliti traumi alle spalle da manuale di sceneggiatura, eppure poco accattivanti, per lo meno per ora. Così, quando la regia si concede le parentesi più intime su questi uomini e soprattutto donne dure, indurite dall’ambiente e dal lavoro che fanno, si sente il bisogno di tornare sul punto. 

In un grande salone cittadino ci sono corpi ammassati in pose simili al gruppo scultoreo di Laocoonte e i suoi figli. Eppure nessuno sembra esserne nauseato. L’analisi dello shock, l’effetto viscerale che questa orribile visione dovrebbe avere sulle persone, ma che non avviene, distacca molto dai personaggi. Ci sono quelli abituati (ma chi lo è mai veramente?) all’orrore e capiamo perché non si scompongano. Tutti gli altri uomini, inesperti, che li hanno estratti dal ghiaccio sembrano anestetizzati di fronte a scene simili. È un errore di misura: per comunicare l’oscurità, si dimentica di farla sentire nelle viscere a chi la subisce. 

La brava Jodie Foster calca talvolta troppo la mano sulla sua detective di ferro, mostrandola come tale anche in una scena di sesso per nulla riuscita. Nella prima stagione di True Detective il sesso era invece un atto di esplorazione del personaggio nei suoi desideri più contraddittori. Qui è quasi un atto meccanico perché il genere lo richiede. 

Per il resto però la spina dorsale di True Detective: Night Country è ancora intatta. Il caso del presente e quello del passato iniziano già a convergere. La serie potrebbe, a questo punto, andare da qualsiasi parte, sia nel realismo dell’indagine razionale che nel soprannaturale o nel fantascientifico. Ha disposto bene le sue carte, anche a fronte di qualche imperfezione, tanto che siamo disposti a seguirla ovunque decida di andare. Basta che continui a sviluppare i caratteri in parallelo al suo mistero, evitando le attese introspettive. Sono il caso e l’ignoto a dimostrare ciò che sono veramente le persone in True Detective. Mai il contrario. Per una stagione che mette i simboli letteralmente sulla carne dei propri attori, è un obbligo narrativo non dargli tregua.

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