True Detective: Night Country, parte 1: la recensione

Il primo episodio di True Detective: Night Country promette un viaggio nell'oscurità tra razionalità e orrore cosmico molto appassionante

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Il primo episodio di Night Country, quarto volume della serie antologica, promette un grande ritorno in piena forma di True Detective. Il progetto acquista una nuova voce, quella della showrunner e regista Issa López. Ha imparato a memoria la prima, gloriosa, stagione e si vede. Tutto prende le mosse da lì, non nella continuità, ma nell'idea di quali siano i confini di queste storie. L’indagine dei detective Rust Cohle e Marty Hart iniziava radicata a terra, nella durezza della Louisiana del presente e del passato. Finiva abbracciando l’orrore cosmico di lovecraftiana memoria. La sua caratteristica era proprio l’incredibile capacità di non perdere una inquietante plausibilità. True Detective: Night Country parte, come atmosfera, dall'apertura al territorio mistico in cui il primo volume terminava. 

Siamo ad Ennis in Alaska, una città alla fine del mondo. C’è una stazione di ricerca all’avanguardia. Nessuno del posto sa bene che cosa si faccia lì dentro. Qualcosa di legato al cambiamento climatico, si dice. L’inizio potrebbe benissimo essere quello di un remake de La cosa. C’è qualcosa che si muove nell’aria: uno spirito o una presenza concreta che non vediamo? L’intera squadra di scienziati scompare nel nulla. Sul pavimento una lingua che potrebbe appartenere al cadavere di un caso irrisolto di molti anni prima. Su una lavagna contenente alcuni dati si legge una scritta, come una premonizione. Sapevano che stavano per morire.

Finalmente True Detective sembra essersi liberata dal peso di eguagliare la prima stagione in termini di rivoluzione della forma seriale e si concede di giovarsi di quanto ha fatto Nic Pizzolatto al genere. Non servono più premesse o un avvicinamento lento all'horror. Il primo episodio attinge da tante fonti per una sceneggiatura che cerca in più momenti l’effetto a sorpresa, consapevole di dover agganciare lo spettatore sin da subito. Prende alcune suggestioni chiave, tra cui il già citato capolavoro di John Carpenter e costruisce la sua identità a partire dalla mescolanza di queste atmosfere. 

Gli elementi cardine di True Detective ci sono anche nelle premesse di Night Country: due detective, due piani temporali, due casi e l'intreccio di tutto questo. La convergenza tra queste dualità non è immediata sin da subito. In mezzo c’è spazio per entrare nel territorio mistico alla Twin Peaks con un’immagine allucinatoria veramente affascinante che risolve un mistero e apre il vero caso a fine puntata. Questo spazio convive con l'indagine nell'oscurità che potrebbe venire da Il silenzio degli innocenti a partire dal volto della sua protagonista.

Jodie Foster si trova a suo agio con la detective Liz Danvers, dura e concreta, contrapposta alla collega Evangeline Navarro (Kali Reis) più aperta alla dimensione spirituale. Come la prima stagione di The Terror, solo ambientata ai giorni nostri, anche Night Country riesce a creare una tensione tra la schietta razionalità di chi deve risolvere un mistero trovando prove e fatti e la “tentazione” ad abbracciare il mistero ultraterreno. La neve e la notte lunghissima del dicembre dell’Alaska si rivelano perfetti per ambientare una vicenda in cui l'inquietudine perenne viene dalla certezza metafisica di essere lasciati soli da un qualcuno che invece osserva da lontano. 

Così il thriller promette di diventare altro: cinema (o televisione) di qualità, che non si limita a portare al massimo il genere di appartenenza, ma ad usare le sue convenzioni per sovvertirle e parlare di altro: della fragilità delle esistenze, la lotta quotidiana contro il rimpianto e l’errore. Non sarà semplice farlo con lo stesso rigore a cui il primo True Detective ci ha abituato. Però, se le premesse sono queste, si può ben sperare. Con Night Country la serie sembra aver smesso di lottare contro se stessa, per provare a giocare ancora libera e creare qualcosa di veramente appassionante.

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