True Detective: Night Country, la recensione dell’episodio 4

Con il quarto episodio di Night Country la regia di Issa López riesce a trovare l’ispirazione per sequenze da nervi tesissimi

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Spoiler Alert

True Detective tenta di sconfinare nell’horror puro e ci riesce alla grande. Con il quarto episodio di Night Country la regia di Issa López, già autrice del potente Tigers are not Afraid, riesce a trovare l’ispirazione per sequenze da nervi tesissimi. È un’opera di scavo. Prende terrore già presente nel primo volume (con cui il quarto condivide moltissimi legami, un po’ troppo furbetti), ma in maniera sommessa, e lo rende il soggetto principale di questa indagine ai confini con il paranormale. 

L’episodio inizia con Liz Danvers che guarda ossessivamente il video con la scomparsa di Anne Kowtok. Immagini e grida che fanno da sfondo a questa ora di televisione che fa finalmente discendere la serie nelle tenebre, in ogni senso. Si giunge in quel luogo oscuro tramite visioni che rapiscono, come accade a Julia Navarro, sorella di Evangeline. Il vagare nei ghiacci, la morte, ha il duplice aspetto di fine della vita e di liberazione estatica dal male terreno.

È questa l’ambiguità più interessante della serie che continua però a faticare nel costruire un’impressione di spontaneità nel modo in cui i personaggi si comunicano le informazioni. Va molto meglio nella descrizione del filo esoterico che lega i nativi di Ennis. Probabile che, per risolvere i casi intrecciati, Danvers dovrà convincersi a credere che qualcosa di ultraterreno possa esistere, e Navarro debba fare proprio il contrario, respingendo il suo scivolare nell’allucinazione.

Ancora una volta in True Detective: Night Country si sente che la sceneggiatura è nata proprio in reazione a quella straordinaria prima stagione, ma anche la distanza filosofica con l'autore delle prime tre stagioni Nic Pizzolatto. L’effetto è un po’ quello di un ricalco di alcuni dialoghi (le chiacchiere in macchina sulla fede) senza averne la stessa forza. Tuttavia, fosse diverso il titolo che precede questa stagione, si parlerebbe con più facilità dei meriti di una miniserie che si sta dimostrando solida in più punti. 

True Detective è fatto dalle conseguenze che le indagini hanno sui personaggi. L’abnegazione al lavoro, o alla figura autoritaria di Liz Danvers, di cui scopriamo maggiormente i traumi passati, distrugge la vita di Peter Prior. Ancora una volta però il personaggio più interessante è suo padre Hank, evidentemente raggirato online, attende invano la sua inesistente fidanzata la notte di Natale. È una fragile durezza che ben rappresenta questo microcosmo di anime spezzate. Notevole il tentativo dell’uomo di difendere il figlio dalla detective che lo richiama al lavoro distruggendo il precario equilibrio famigliare. I morti assorbono interamente il tempo dei vivi. II continuo attraversamento della soglia del razionale inizia qui a funzionare meglio per come i personaggi reagiscono. 

Resta però straniante l’assoluta tranquillità con cui le due detective affrontano i momenti di puro terrore. Hanno nervi saldi che Rust Cohle e Martin Hart non avevano. A Carcosa la paura era sia esterna che interna, visibile cioè negli occhi degli attori. Qui invece sembra che Ennis sia abituata alla morte e ai fantasmi. Questi tornano nei simboli (nella puntata c’è l’immagine ricorrente di esseri con un occhio solo). Che siano queste le conseguenze della lunga notte?

Issa López ha un’invidiabile capacità di chiudere le puntate che qui si riconferma con una sequenza che fa venire voglia di avere immediatamente a disposizione l’episodio successivo. Ora la speranza è che tutto riesca a trovare la giusta quadra avviandosi verso il finale.

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