True Detective: Night Country, la recensione dell’episodio 3

Al terzo episodio True Detective: Night Country si conferma una scommessa rischiosa: resta in bilico tra la grandezza e il fallimento

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La recensione dell'episodio 3 di True Detective: Night Country, disponibile su Sky e in streaming su NOW

True Detective: Night Country continua ad essere indecifrabile anche nel suo terzo episodio. Non tanto in quello che succeda, quanto in quello che vuole essere "da grande", ovvero nella sua seconda metà. È una serie che si muove pienamente all’interno dei canoni della prima stagione, trovando nei ghiacci dell’Alaska un’ottima ambientazione e due protagoniste dagli sviluppo interessanti. Ha ribaltato però l’ordine con cui Nic Pizzolatto metteva sul tavolo gli elementi caratterizzanti. Il soprannaturale, in True Detective, è un dubbio. La domanda che attanaglia uomini disperati: esiste un al di là? C’è una giustizia divina, oltre a quella - inefficiente - degli uomini? È un'intuizione che guida.

Night Country invece è spudorata: porta sin da subito in un mondo ai confini con qualcosa di inspiegabile dalla scienza (lo smentirà e sarà tutto razionale? Difficile a questo punto). Si muove nel territorio dell’horror fantascientifico, abbracciato pienamente da questo terzo episodio. È molto buono, preso in sé, con alcuni momenti realmente agghiaccianti. Gli manca però quel rigore nell’indagine a cui ci hanno abituati le precedenti stagioni (non solo la prima). Certe volte i personaggi si fermano ponendosi domande dirette, smaccatamente funzionali a dare informazioni chiave. Come Peter Prior che chiede a Danvers cosa sia successo durante il caso Wheeler e lei, fino ad ora restia a parlare di sé, gli racconta tutto (forse con una bugia). Un'esposizione troppo smaccata.ù

Lo spazio dato alla comunità

Il procedere a domande, impostato da Danvers, una sempre brava Jodie Foster, riesce a tenere alta l’attenzione quando le due detective cercano di risolvere il mistero di cosa sia accaduto ai ricercatori della base Tsalal. Quando invece riguarda le questioni private dei personaggi, risulta più forzato. Da questo terzo capitolo di True Detective: Night Country emerge un aspetto più concreto della vicenda, il migliore nella puntata: la protesta degli Iñupiat. Un territorio inquinato e depredato dalle miniere, in cui stanno aumentando i casi di tumore nei bambini e l’acqua scorre nera. C'è una sopita violenza che si esprime nelle differenze tra i nativi e chi sta usando quella terra. Ennis, in fondo, è raccontata come una realtà lacerata che ben rappresenta mondo intero. Potrebbe esserci un’anima ecologista nella spiegazione dei misteri di questa quarta stagione di True Detective?

Nonostante qualche incertezza la regia di Issa López riesce a raccontare bene la vita di una cittadina dove tutte le porte sono aperte (per non rischiare di rimanere chiusi fuori al gelo), dove tutti si conoscono in una comunità attraversata però da sprazzi di violenza. Il tema delle miniere è reale e va a rafforzare un discorso profondo sull’identità culturale. In una serie crime piena di simboli come questa, il fatto che i personaggi se li vogliano tatuare sulla pelle aumenta a dismisura la portata simbolica dell’indagine. 

Un personaggio secondario di spessore

Una nota di merito va a John Hawkes, volto perfetto per True Detective, al suo capitano Hank Prior bastano pochi minuti a puntata per emergere sugli altri. È ingenuo, come abbiamo visto nelle puntate precedenti, eppure durissimo. Pare contenere nella sua memoria una quantità pazzesca di informazioni essenziali che non ha intenzione di rivelare. Con uno sguardo riesce ad essere il personaggio più interessante della stagione.

Con questo terzo episodio di Night Country, True Detective continua per la strada giusta, appassionando e trovando immagini veramente da brividi. Resta però forte la sensazione che tutto, da un momento all’altro, possa perdere di mordente. Questo quarto volume si sta assumendo grandi rischi, puntando molto in alto. Non ci sarà una via di mezzo: o riuscirà a trovare la quadra in maniera brillante, centrando il bersaglio, o l’alternativa è crollare sotto il peso delle proprie ambizioni. Non è un caso, infatti, se il primo True Detective è unanimemente considerato “un miracolo”. Questi, si sa, non accadono spesso. Come direbbe Navarro: bisogna avere fede. O meglio, stare in ascolto.

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