True Detective 3x06 "Hunters in the Dark": la recensione

Le nostre impressioni sul sesto episodio stagionale di True Detective

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Spoiler Alert
L'immagine dei cacciatori nell'oscurità evocata dal titolo del sesto episodio stagionale di True Detective ben si adatta alla predisposizione d'animo che muove i personaggi principali. L'oscurità qui ha una valenza – almeno – doppia, nel senso che da un lato rappresenta la cupezza dell'animo e la mortificazione continua che questo ambiente rievoca, e dall'altro cita la mancanza di appigli razionali e punti di riferimento nel portare avanti l'indagine. Anche questa settimana, la familiare narrazione tripartita muove Hays avanti e indietro, nella continua illusione di ricordi che precedono le indagini. E c'è un'idea di assenza assordante che torna a dare il ritmo alla storia.

Assenza di Julie, che esiste come fulcro simbolico di un mondo ipocrita che accetta qualunque soluzione, qualunque verità di facciata pur di andare avanti. È il caso della concretizzazione delle accuse nei confronti di Woodard, chiaramente infondate, eppure così radicate nell'esigenza collettiva di muovere avanti, da diventare quasi vere nel tempo. E questo discorso applicato alla generalità delle persone trova un nuovo senso nel momento in cui è Hays a ripensare a tutto ciò che è stato, o che presumibilmente è stato, dati i suoi problemi di memoria. Il passato può esistere come specchio di ciò che possiamo ricordare, o ancora meglio, di ciò che vogliamo ricordare. Il resto è una ricostruzione artificiosa che ognuno potrà adattare a se stesso per provare meno dolore e meno rimpianti.

L'assenza di Julie pesa più di ogni altra presenza nella serie, perché contiene in sé tutte le possibilità inesplorate, le strade mai battute, le teorie sussurrate. Nella scrittura dello show funziona come cassa di risonanza rispetto ad altre mancanze, come quella di Amelia, che infine pubblica il libro e viene criticata durante una presentazione. Quella di Rebecca, la figlia di Wayne, che praticamente è interamente definita solo dal fatto di non essere presente nella vita del padre. Quella del misterioso Hoyt (una foto ci svela che è interpretato da Michael Rooker). Proprio lui è l'incarnazione dell'elite opprimente e subdola che corrompe di nascosto, celata nelle sue fortezze dorate, o nei suoi "castelli rosa", come quelli citati nella serie.

Quanto a pura narrazione, l'episodio non aggiunge molto a ciò che già sapevamo. Negli anni '80 Hays ha ben chiaro che l'accusa nei confronti di Woodard è campata in aria; negli anni '90 il messaggio della presunta Julie lascia intendere un coinvolgimento maggiore da parte di Tom. Messaggi nascosti tra i bambini, una latente omosessualità che diventa un problema, il completo sbandamento di un padre che infine entrerà nella tana del lupo. Quanto al presente, è sempre lì, vaghissimo punto di riferimento in una serie che ne offre pochi. Eppure è un presente sempre monco, perché incapace di elaborare, considerato che Hays deve chiedere a Roland conferma dell'anno in cui si trovano.

Complice un cliffhanger, True Detective prende – a modo suo – la rincorsa verso il finale di stagione. Non è serie semplice, né la scrittura ha intenzione di imboccarci con facili rivelazioni e considerazioni, eppure nel marasma generale una forma seppur vaga di verità pare emergere.

True Detective va in onda ogni lunedì su Sky Atlantic in lingua originale con sottotitoli alle 21.15 (e alle tre di notte fra domenica e lunedì, in contemporanea con gli USA) e il lunedì successivo nella versione doppiata in italiano.

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