True Detective 2x03 "Maybe Tomorrow": la recensione

Terzo episodio di True Detective: l'indagine fa pochi passi in avanti, ma si lavora sul rapporto tra i protagonisti

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Spoiler Alert
Premesso che era molto difficile trovare una soluzione soddisfacente al cliffhanger della scorsa settimana, di forte impatto ma anche un po' disonesto nel costruire uno scenario di incertezza e tensione, bisogna dire che True Detective è riuscito a percorrere la soluzione più elegante. Una sequenza onirica ben diretta e ben scritta, in cui ci godiamo la prima apparizione sullo schermo di Fred Ward, che tornerà in seguito nell'episodio, sostenuta dall'ispirata idea di un sottofondo "live" con un imitatore di Conway Twitty che intona The Rose. È il manifesto d'apertura di un episodio in cui i fronti dell'indagine sono specchi rivolti verso i protagonisti: poco o nulla avanzerà nella trama generale, ma alla fine, per noi, il riflesso di Ray, Ani e Paul sarà più chiaro.

C'è un legame sempre più fitto tra politica e malavita nella città di Vinci, ci sono ville sfarzose che al loro interno celano il degrado più totale, e poi ci sono le strade, sempre le stesse, a fare da transizione tra uno scenario e l'altro. Eppure l'impressione generale che Maybe Tomorrow presenta allo spettatore è quella di una puntata in cui l'indagine in sé attraversa una fase di transizione o stasi, e ogni momento abbia un senso solo nel raccontarci qualcosa in più sui detective. Il fantasma di Caspere sempre più assume il ruolo di punto d'incontro di tutti i fiumi inquinati che attraversano la città, ma la sua morte è anche quella goccia che, per un motivo o per un altro, ha fatto traboccare le vite dei protagonisti (compreso Frank) che fino a quel momento si reggevano in equilibrio sul limite.

Ed è questo che, nonostante le sue imperfezioni, rende il terzo episodio della stagione il migliore andato in onda fino ad ora. Ray non sarà il personaggio più originale mai visto, ma non potremo non empatizzare con lui nel momento in cui la moglie gli presenta una busta di soldi in cambio della rinuncia alla contestazione dell'affidamento esclusivo del figlio. E saremo ancora con lui, in quella che è forse la migliore scena della puntata, quando si ritroverà sul divano di suo padre ad ascoltare i deliri sul passato di un vecchio ormai finito, una figura che – con sfumature sottili che fino ad ora erano rimaste estranee allo show – intuiamo Ray abbia temuto e rispettato per tutta la vita. Ci sono tensione e sentimenti non espressi in questo confronto in cui i due non si guardano mai negli occhi, rimanendo con lo sguardo lontano puntato sul televisore dove sta passando un film con Kirk Douglas. "You have your father's hands", sentiamo nel sogno che apre la puntata, e ancora una volta ci ritroviamo in questa maledizione dei padri che ricade sui figli (e da Ray stesso al suo di figlio) e che ci riporta a quei temi edipici di cui dicevamo la scorsa settimana.

Finalmente una boccata d'aria fresca anche per Ani. Lo sguardo spento e disilluso possono affascinare ad un primo impatto, ma occorre altro per creare un protagonista. Finalmente, anche se speriamo di vedere di più nelle prossime puntate, il personaggio di Rachel McAdams si sporca le mani, la sua interazione con Ray raggiunge un livello più sincero, entrambi si ritrovano complici oltre i giochi di potere delle rispettive forze dell'ordine. Vince Vaughn fa il suo, ma il suo Frank Semyon rimane penalizzato dalla scrittura peggiore della serie. È difficile empatizzare con un personaggio che questa settimana esordisce con la frase: "There's no part of my life not overwrought with live-or-die importance. I take a shit, there's a gun to my head saying "Make it a good one, don't fuck up". Ma questa sovraesposizione dei sentimenti nei dialoghi è un problema generale, come vediamo quando un medico chiede a Ray: "Do you want to live?"

Scopriamo qualcosa di più anche su Paul, ma quel che vediamo, oltre ad essere accompagnato da una preparazione troppo lunga per una rivelazione che in fondo non è nulla di che, non giustifica il personaggio che abbiamo visto fino ad ora. Ma comunque è la chimica con il resto dei personaggi, della serie in generale, a non funzionare. Non basta un trauma occasionale, poco originale, mal raccontato, per costruire un personaggio con cui vale la pena empatizzare.

Nonostante un certo senso di artificiosità nella narrazione e in special modo nei dialoghi, è un True Detective che migliora questa settimana, lavorando sul rapporto tra i protagonisti, ma che ha ancora molta strada da fare.

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