True Detective 2x01 "The Western Book of the Dead": la recensione

Dalla Louisiana alla California ritorna, con nuovi personaggi e nuove storie, True Detective

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Spoiler Alert
Non esiste alcun collegamento narrativo tra la prima e la seconda stagione di True Detective, eppure nemmeno per un istante durante la visione della première siamo sfiorati dal dubbio che questo potrebbe essere un universo differente. Dal cielo stellato della Louisiana al quale si rivolgevano Rust e Marty, appena usciti dall'incubo di Carcosa, ci spostiamo alle corse a fari spenti nella notte della California. Le stesse strade affilate che tagliano il paesaggio, la stessa rassegnazione e indifferenza alle miserie umane, lo stesso fetore di marciume umano e sociale che definisce i contorni dei protagonisti. Al suo esordio la seconda stagione di True Detective sale, in parte, sulle spalle della prima, ma non riesce a vedere altrettanto lontano: ottima regia, un intreccio ben sviluppato, un casting che convince in parte, dialoghi spesso non all'altezza.

The Western Book of the Dead – titolo bellissimo dell'episodio – traccia fin da subito un netto confine tra sé e la storia precedente. E sarà meglio per noi fare lo stesso, per non incorrere in paragoni che forse non sarebbero fuori luogo, visto che comunque parliamo di una serie antologica, ma che certamente sarebbero troppo ingombranti. True Detective è stato l'evento televisivo dello scorso anno, lo è stato per una serie di fattori quasi impossibili da replicare, con la sua perfezione stilistica, i suoi interpreti e i suoi temi, la sua capacità di giocare con il fascino quasi sovrannaturale delle ambientazioni, tutti elementi in grado di far imporre la serie di Nic Pizzolatto come cult istantaneo al di là dei limiti di una storia che, in fondo, di originale aveva poco. Fantasmi di quegli otto episodi praticamente perfetti tornano e torneranno ancora, ora in una opening modellata sullo stile della prima, ora in un'inquadratura del personaggio di Colin Farrell ad una scrivania che sembra fatta apposta per ricordare quella ormai celebre di Rust. Va bene un confronto con quello che è stato, ma è anche giusto dare la possibilità a questa seconda stagione di uscire dall'ombra della prima.

E questa première ci prova. La regia di Justin Lin ci guida attraverso un intreccio che praticamente ribalta la prospettiva seguita nella prima stagione. Lì i piani temporali si sovrapponevano, con il futuro che almeno nelle prime puntate illuminava il passato, e occorreva molto tempo prima di avere un quadro definito della situazione. Qui è l'opposto. Ogni personaggio è un fiume che scorre solitario, con i suoi problemi personali e professionali, e solo in conclusione si ritroverà insieme agli altri, all'alba di un giorno che si preannuncia lunghissimo.

Colin Farrell interpreta il detective Ray Velcoro, corrotto e violento servitore della propria giustizia nella località fittizia di Vinci. L'uomo, che sta cercando di allargare i termini dell'affidamento del figlio, è il cane da guardia di Frank Semyon (Vince Vaughn), esponente della malavita che sta cercando di condurre in porto un affare legato al settore dei trasporti. A mettere i bastoni fra le ruote al criminale, oltre ad un giornalista interessato alla vicenda, anche la sparizione improvvisa del suo contatto Benjamin Caspere. Proprio quest'ultima circostanza metterà in contatto Ray con gli altri due "detective" protagonisti. Si tratta di Antigone Bezzerides (Rachel McAdams), a sua volta impegnata nella ricerca della sorella Athena, e di Paul Woodrough (Taylor Kitsch), al centro di un'inchiesta e tormentato da cicatrici esterne e, probabilmente, anche interne.

L'intreccio procede con un equilibrio e una progressione inesorabile e martellante, che riserva a tutti i quattro protagonisti porzioni di spazio sempre meno larghe e distanti, restringendo ad ogni tornata il cerchio, fino all'incontro finale. Forse Ray emerge quel tanto che basta sugli altri – anche perché sua è la scena più forte dell'episodio – ma in generale è evidente la volontà di creare un gruppo di protagonisti allo stesso livello. Justin Lin puntella gli eventi con personalità e intelligenza: ecco ora un riferimento sottile alla prima stagione (quello indicato prima), ecco ora le ormai classiche inquadrature dall'alto (in un momento in cui non ce lo aspetteremmo come la porta di una casa che viene sfondata), ecco una corsa a fari spenti in cui il volto di Paul viene schiacciato dall'aria.

True Detective mantiene quell'approccio ruvido e fisico, fatto di cicatrici, zigomi spaccati, bicchieri svuotati in un sorso. Al tempo stesso però ci sono quegli improvvisi bagliori che permettono alla storia di tirare una boccata d'ossigeno: non è il pessimismo cosmico di Rust, ma magari è l'idea di accostare il nome di Antigone (con tutto ciò che, anche solo simbolicamente, questo nome evoca) ad una persona chiamata a difendere la legalità. Il cast funziona di più sul versante femminile. Rachel McAdams, ma anche Kelly Reilly, che interpreta Jordan, la moglie di Frank, sono le migliori del cast. Convincente anche Colin Farrell, chiamato al momento ad interpretare il personaggio più tormentato. Sottotono invece Taylor Kitsch e Vince Vaughn, quest'ultimo in particolare, anche se va detto che il suo personaggio è molto difficile da inquadrare in questo momento.

Un'ultima considerazione sui dialoghi, che sono il vero punto interrogativo dell'episodio. E qui, purtroppo, dobbiamo tirare in ballo la prima stagione. Anche nei dialoghi più artificiosi, anche nelle considerazioni apparentemente più fuoriluogo sulla natura dell'universo, tutto sembrava avere un suo ordine e una sua coerenza interna. Qui invece in più di un momento è forte la sensazione di trovarsi di fronte a costruzioni macchinose. C'è un momento in cui Ray si reca a casa di un bullo per dargli una lezione, che già sarebbe una scena difficile da digerire, e chiude la sua apparizione esclamando "I’ll come back and butt-fuck your father with your mom’s headless corpse on this goddamn lawn". Stessa considerazione per la citazione "Never do anything out of hunger. Not even eat", una frase che onestamente il personaggio di Frank non ha il carisma necessario per rendere credibile.

È comunque ingiusto chiudere su una nota negativa per quello che è stato un debutto ampiamente convincente. Non è la prima stagione, ma non doveva esserlo. La presentazione dei personaggi e del contesto funziona molto bene, e la chiusura della puntata non può che lasciarci sulle spine in attesa di vedere il seguito.

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