True Detective 1x08 "Form and Void" (season finale): la recensione
Ultimo episodio di stagione per True Detective: ecco come si conclude la caccia al serial killer
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Dopo la tesa e rivelatoria conclusione di After You've Gone, le teorie circa un possibile coinvolgimento di Rust Cohle o Marty Hart negli omicidi seriali erano destinate ad essere smentite, e così è successo. I sospetti, ben presto certezze, si incanalano quindi in direzione della figura di Errol, tanto surreale e caricata da rasentare l'archetipo. In un prologo secco, sporco, quasi disgustoso nel mostrare il marciume che domina questo individuo tanto nelle apparenze che nell'anima nera più profonda, scopriamo tutto ciò che ci serve sapere su questa figura. Errol, che vive immerso nel putridume, in un rapporto semincestuoso, tra torture e altri orrori innominabili, è l'ombra umana che dà forma a quell'oscurità parte della contrapposizione fondamentale di cui si parla nel dialogo finale. È l'orco delle fiabe, è il LeatherFace di Non aprite quella porta, è il pedofilo di M che annunciava la sua presenza fischiettando un motivetto (esattamente come fa Errol).
Nella distensiva e malinconica parentesi finale arriva infatti il doppio e parziale riscatto per i peccati commessi dai due. Rust non riuscirà a perdonarsi per la morte della figlia, ma tenterà di andare avanti dopo aver ritrovato un amico, Cohle non tornerà mai – probabilmente – con Maggie, ma avrà ritrovato un contatto con la sua famiglia. Le accuse naturalmente cadranno nel vuoto, respingendo i due detective Gilbough e Papania nel vuoto strumentale dal quale sono usciti fuori, e in qualche modo il tempo, dopo aver riallacciato correttamente i fili tra passato e presente, potrà riprendere a scorrere in un'unica direzione. Niente più Re Giallo (il riferimento letterario a Chambers e al Lovecraft che si diceva all'inizio), niente più strane spirali simboliche, niente più Tuttle. La serie glissa proprio nel finale su molti di questi aspetti che reggevano la mitologia interna della serie, lasciando alcuni punti nell'oscurità. È una mancanza? Probabilmente sì, ma considerato l'estremo fascino di una narrazione che fin dal principio, tanto nelle dichiarazioni del creatore quanto nella scrittura delle puntate, ha rimarcato come la vicenda del serial killer paradossalmente non fosse il tema centrale che si voleva raccontare, ci può anche stare.
Anche in quest'ultima parte la regia di Cary Fukunaga, che ingiustamente forse verrà accostata solo al comunque bellissimo piano sequenza di Who Goes There, incasella perfettamente il racconto della storia. È cornice di orrore e disperazione, ma anche finestra sull'aspro, statico, avvilente e isolato panorama della Louisiana, che in più di un momento reclama e ottiene il proprio spazio, come in alcune carrellate dall'alto che sembrano accentuarne la natura quasi onirica. Ci mancheranno i voli pseudofilosofici un po' folli, ma tremendamente affascinanti, di Rust, e le sue discussioni in macchina con Marty, e ci mancheranno ovviamente questi due interpreti, Matthew McConaughey e Woody Harrelson, ai quali è difficile rendere giustizia in poche parole. Se True Detective è stato grande (e di successo, tanto da far crashare il servizio streaming della HBO durante il finale), è perché in primo luogo lo sono stati loro.
La passerella finale è tutta per loro, un dialogo sul bene e sul male ridotti alle loro essenze più pure: la luce e l'oscurità. I primi versetti della Genesi, da cui forse è tratto il titolo dell'episodio, recitano: The earth was without form and void, and darkness was over the face of the deep. All'inizio tutto era oscurità, ma poi qualche stella ha iniziato a brillare, e Rust e Cohle, dopo aver attraversato il loro inferno personale, si sono meritati di uscire a rivederle.