True Detective 1x04 "Who Goes There": la recensione

Prosegue lo straordinario True Detective, che questa settimana ci regala anche un piano sequenza da brividi

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È piacevole scivolare con lo sguardo lungo le immagini emblematiche e violente che scorrono nei titoli di testa di True Detective. Sorvolando sulla bellezza quasi ipnotica della sigla, ciò che colpisce è il mosaico di soggetti che si rincorrono, la ricchezza più che emblematica degli accostamenti, la sovrapposizione delle immagini che scuote perché ci consegna sensazioni che sono più grandi della somma delle loro parti. Qualcosa che sembra una croce al neon che illumina uno dei ragazzi che abbiamo visto nella chiesa all'aperto di The Locked Room, le strade notturne che scivolano sul volto di Hart (Woody Harrelson) e che sembrano richiamare i muscoli tesi sul suo viso, il fuoco di una fabbrica che si distende sul corpo consumato di Rust. Momenti che abbiamo già visto, altri che forse non vedremo mai, altri ancora che vediamo in questa puntata, come la spogliarellista del locale dove Cohle (Matthew McConaughey) cerca informazioni.

La creatura di Nic Pizzolatto oscilla quindi tra passato e presente, accostando il più possibile la dimensione stessa della storia, che in fondo non è altro che un doppio flashback (e notate anche l'illusione nell'illusione: i due interrogatori ovviamente non avvengono nello stesso momento, ma la serie li racconta come se fosse così), al proprio modo di narrarla. Il creatore che ha il completo controllo della propria vicenda può dunque scegliere di anticipare immagini, gettare semi per lo spettatore, magari anche inconsciamente, tramite la stessa opening, per poi recuperare tutto e rimodellare a proprio piacimento il racconto. L'immagine terribile, quella del mostro nell'incubo, con la quale ci aveva lasciato la serie due settimane fa, rimane sospesa nell'aria, nella tensione di un racconto che più si allarga coinvolgendo nuovi soggetti e più sembra stringere il nodo intorno all'elemento umano e sfuggente che tutto lega e a cui tutto si riferisce.

Who Goes There tradisce parzialmente il mood della prima parte della stagione per portare ad un nuovo livello, più concreto e immediato, il racconto della vicenda investigativa. Hart e Cohle in azione dunque, sulle tracce di uno spettro che scivola tra sette religiose, traffico di droga e omicidi in serie. Ledoux è il mostro inafferrabile, con un nome, una serie di peccati alle spalle, ma ancora nessun volto, perché chi scrive la serie lo sa che ritardare il più possibile la visione del mostro è il modo migliore per accrescere l'attesa e far salire la tensione. Accantonato il bilancio pseudoesistenziale dell'esistenza condotto a più riprese da Rust nelle puntate precedenti, e messo sul tavolo un rapporto professionale che ha ormai seminato abbastanza per poter raccogliere i frutti del lavoro, il quarto episodio di True Detective apre la valvola di sfogo delle tensioni che abbiamo accumulato nelle tre puntate precedenti.

Ecco che la scappatella di Hart con Lisa (Alexandra Daddario) dà corpo, e in parte giustificazione, alle problematiche di coppia che l'uomo aveva evidentemente con la moglie Maggie (Michelle Monaghan). Rimane da chiedersi se, con solo otto puntate complessive, questa storyline sia destinata al semplice riflesso sulla caratterizzazione di Hart, o se avrà un impatto più concreto sulla trama. Rust intanto in determinati momenti ha anche giocato il ruolo di confidente, ma di certo non ci sta a beccarsi un po' di rabbia in eccesso, e sicuramente non è disposto a lasciare che le vicende personali si intromettano nel corso dell'indagine, non ora che è giunta ad un punto di svolta. Con una mossa azzardata, rischiosa, impensabile se non fosse che praticamente non fa altro che dar voce alle tensioni che fin dall'inizio vedono Rust accarezzare l'idea della morte con troppa insistenza, l'uomo entra in contatto, sotto copertura, con una banda di criminali, a sua volta tramite per giungere a Ledoux.

La parentesi legata al lavoro sotto copertura di Rust è destinata a esaurirsi nello stesso episodio, contrariamente a ciò che potremmo pensare, bruciando le tappe della narrazione, rinunciando al classico lavoro d'accumulo di informazioni, magari costruendo qualche tipico momento rischioso in cui il protagonista potrebbe essere scoperto. Nessuna giostra di discese e salite, solo un'escalation fulminante di situazioni, tanto repentina da lasciarci storditi nel momento in cui viene rilasciata di colpo, in un momento di alto cinema... ops, televisione. Il piano sequenza di sei minuti con il quale si conclude la puntata e al di là di ogni aggettivo, considerato come, ricordiamolo sempre, stiamo parlando di un prodotto per il piccolo schermo.

Cary Fukunaga si muove nello strettissimo appartamento, tra la calca delle voci e dei corpi che si ammassano all'interno, lascia montare la tensione nei primi due minuti tramite una serie di frasi ricorrenti e che più vorrebbero essere rassicuranti e più invece aumentano la tensione e la sensazione di pericolo imminente, e poi uno sparo e il fischio nelle orecchie di Rust che sono anche le nostre, e il detective che prende l'unico uomo che gli interessa e si precipita fuori, con la macchina da presa che sbalza verso l'alto, verso un elicottero, per poi schiacciarsi di nuovo a terra, seguendo i due dentro un appartamento, e allora per un attimo sembra di non vedere più una serie, ma uno di quegli show che seguono i poliziotti nelle loro vere operazioni sul campo, e poi di nuovo in strada, a ripararsi dai proiettili, con le due figure in ombra di fronte alla camera mentre l'unica zona illuminata sullo sfondo ci mostra le sirene spiegate e la gente che si rifugia in casa, e poi ancora su Rust e il suo uomo, che scavalcano un cancello, che si inoltrano in una zona sempre più buia, fino a terminare la loro corsa nella macchina di Hart.

Dimenticando quel continuo oscillare tra passato e presente che dicevamo prima, si tratta di un bel momento nel quale la storia si distacca da tutto il resto per vivere pienamente l'ora e l'adesso. Si tratta di un esercizio di stile? Probabilmente. Di un momento nel quale la tecnica prende il sopravvento sulla storia? Senza dubbio, ma è anche un momento realizzato perfettamente. Per questa settimana la dimensione più immediata della narrazione ha prevalso sulle riflessioni più nascoste, sugli spunti intelligenti che la serie ci lancia in continuazione, sul collante fascinoso, per quanto degradante, che tiene uniti i fili della storia. Ma la qualità eccezionale, della scrittura, della messa in scena, delle interpretazioni, rimane una costante.

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