Troll, la recensione

Per quanto l’intento di usare l’incredibile per spiegare il reale sia di per sé affascinante lo svolgimento di Troll è confuso, la sua filosofia inesistente e il risultato scadente.

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La recensione di Troll, su Netflix dal 1 dicembre

Roar Uthaug con Troll sogna di fare un film spielbergiano. Non solo perché il risveglio di un troll dalle montagne norvegesi è annunciato con lo stesso stupore fuori campo di Jurassic Park, ma anche perché l’intera storia è in fin dei conti una favola ambientalista: un’avventura extra-ordinaria che, come in Spielberg, usa il rapporto con le creature "aliene" (fuori di metafora, il diverso) per illuminare la complessità contraddittoria dell’umanità intera, tra chi la creatura la comprende e chi la teme cercando di annientarla.

Per quanto l’intento di usare l’incredibile per spiegare il reale sia di per sé affascinante (e non è forse questa la bellezza dei film fantastici?) d’altra parte lo svolgimento di Troll è veramente confuso, la sua filosofia pressoché inesistente (non c’è una vera riflessione, solo un mostrare) e, conseguentemente, il risultato scadente.

La protagonista, anch’essa spielbergiana, è la paleontologa Nora (Ine Marie Wilmann). Orfana di madre e figlia di uno studioso di folklore norvegese, in seguito all’apparizione delle misteriose tracce di un gigante viene chiamata dal governo per indagare sulla natura della creatura e trovare una soluzione per proteggere la popolazione. Nora rappresenta la scienza, ma a fianco a lei altre istanze “umane” sono impersonate dai suoi aiutanti: l’assistente della prima ministra (istanza politica), un soldato (istanza militarista) e il padre (l’istanza folkloristica/ambientalista, protettore della tradizione culturale). Gli elementi per farne un buon film ci sarebbero anche: c’è la cornice fantastica, la componente d’azione, e tutte le possibile strade per creare conflitti tra i personaggi e le loro idee.

Di questa conflittualità in Troll però non c’è traccia: o meglio, “i giusti” (i protagonisti) sono tutti insieme allo stesso modo contro il governo, che vuole sparare a casaccio e senza nessuna motivazione fondata. La vuotezza dei personaggi e la mancanza di conflitto ideologico e di svolgimento non creano quindi alcuna credibilità, rendendo impossibile immergersi in ciò che si sta vedendo. Paradossalmente, l’unica cosa credibile è l’incredibile: il troll, come un E.T. di terra e roccia la cui esistenza è l’unico punto fermo perché di per sé straordinario. È ciò che gli gira intorno, invece, ad essere totalmente illogico e casuale: non c’è nessun piano d’azione, il governo e l’esercito agiscono in modi paradossali, i protagonisti vanno avanti come alla storia conviene (per arrivare alla fine) ma mai per motivazioni profonde dei personaggi.

L’unico leitmotiv su cui la storia pare insistere per riempirsi di significato è la questione dell’aspetto folkloristico, sempre messo in contrapposizione alla cristianizzazione della Norvegia e di cui tra l’altro i personaggi devono servirsi per trovare la soluzione al problema. Questa strada viene però dispersa in un mare di eventi inutili e vuoti, lasciando Troll a nudo di fronte alla sua banalità.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Troll? Scrivetelo nei commenti!

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