Troll, la recensione
Per quanto l’intento di usare l’incredibile per spiegare il reale sia di per sé affascinante lo svolgimento di Troll è confuso, la sua filosofia inesistente e il risultato scadente.
La recensione di Troll, su Netflix dal 1 dicembre
Per quanto l’intento di usare l’incredibile per spiegare il reale sia di per sé affascinante (e non è forse questa la bellezza dei film fantastici?) d’altra parte lo svolgimento di Troll è veramente confuso, la sua filosofia pressoché inesistente (non c’è una vera riflessione, solo un mostrare) e, conseguentemente, il risultato scadente.
Di questa conflittualità in Troll però non c’è traccia: o meglio, “i giusti” (i protagonisti) sono tutti insieme allo stesso modo contro il governo, che vuole sparare a casaccio e senza nessuna motivazione fondata. La vuotezza dei personaggi e la mancanza di conflitto ideologico e di svolgimento non creano quindi alcuna credibilità, rendendo impossibile immergersi in ciò che si sta vedendo. Paradossalmente, l’unica cosa credibile è l’incredibile: il troll, come un E.T. di terra e roccia la cui esistenza è l’unico punto fermo perché di per sé straordinario. È ciò che gli gira intorno, invece, ad essere totalmente illogico e casuale: non c’è nessun piano d’azione, il governo e l’esercito agiscono in modi paradossali, i protagonisti vanno avanti come alla storia conviene (per arrivare alla fine) ma mai per motivazioni profonde dei personaggi.
L’unico leitmotiv su cui la storia pare insistere per riempirsi di significato è la questione dell’aspetto folkloristico, sempre messo in contrapposizione alla cristianizzazione della Norvegia e di cui tra l’altro i personaggi devono servirsi per trovare la soluzione al problema. Questa strada viene però dispersa in un mare di eventi inutili e vuoti, lasciando Troll a nudo di fronte alla sua banalità.
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