Trois Amies, la recensione: tutto l'intreccio dei triangoli amorosi senza la passione

Le tre amiche di Trois Amies amano, fanno sesso e cercano qualcosa ma tutto senza nessun impeto e dal punto di vista più amaro

Critico e giornalista cinematografico


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Mouret è truffautiano dentro. Anche nei fallimenti come Trois Amies, che inizia proprio con il tipo di variazione sui soliti titoli di testa da Truffaut, con una voce fuoricampo che ci spiega che i luoghi (vuoti) che stiamo vedendo sono quelli in cui sarà ambientata la storia che seguiremo. Metacinema addomesticato e reso accattivante per introdurre un film che fa il contrario. La storia è quella di tre amiche e delle girandole dei loro amori, tradimenti e altri intrecci, anche fatali, materia da romanzetto trasformata in cinema sofisticato tramite un processo di asciugamento dei sentimenti che, no, proprio non è truffautiano.

L’amore e i sentimenti sono qualcosa di facile in questo film, immediato e quotidiano. Una delle tre amiche sogna un numero di telefono, lo chiama e stabilisce una relazione con l’uomo che risponde, altre si scambiano i fidanzati senza saperlo, tutto è molto naturale e soprattutto senza nessuna forma di passione. Le azioni e gli eventi dicono che questa passione c’è, la recitazione no. È molto coerente con la messa in scena naturalistica e il sonoro in presa diretta, è un piccolo mondo osservato scientificamente in cui però i personaggi sono ingabbiati dalla distanza che Mouret mette tra loro e noi.

L’obiettivo è quello di riuscire ad applicare lo stesso filtro di Jules et Jim, in cui una voce fuoricampo asettica e una recitazione molto trattenuta (ma che sapientemente fa scappare sentimenti da mille piccoli gesti), in accordo con i costumi dell’epoca, agiscono in antitesi a quello che viene detto e viene fatto. Si dice che qualcuno brucia di passione e lo si vede fermo. Questa soluzione in quel film è un’arma affilatissima, che invece di soffocare le passioni le esalta facendole passare da feritoie strette, in questo film invece non funziona mai, perché quegli spiragli non si creano.

Alla fine Trois Amies è il trionfo del cinema borghese medio, con personaggi che fanno lavori intellettuali e hanno ottimi redditi, appartamenti in quartieri buoni e seconde case, e che vivono queste avventure senza senso di trasgressione e senza libertà sessuale, come se andassero a fare compere. Eppure Mouret le racconta tutte dal punto di vista sofferente. Tra tradito e traditore (o traditrice) il punto di vista scelto è sempre di chi rimane infelice e non di chi scopre un nuovo amore, sempre quello di chi sente il senso di colpa e non di chi vuole godere o riesce a godere. Non è cattolicesimo, né una visione bigotta, più un pessimismo costante che, se ce ne fosse ancora bisogno, uccide anche l’ultima possibilità di trovare un po’ di piacere in queste storie così confuse.

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